Non tutte le disabilità sono visibili: il 3 dicembre è per tutti

di Iacopo Melio

Pubblicato il 2021-12-03

A volte sembra che se una difficoltà non la si può osservare, toccare o comunque percepire fisicamente, allora questa non esista

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Caro Iacopo, che ne pensi di chi ha la 104, ma apparentemente è una persona sana, quindi tutti gli altri si sentono in diritto di criticarla perché usufruisce di alcuni diritti?
In quanto malata oncologica mi trovo costretta a combattere delle guerre anche su questo…”

Cara amica, purtroppo quello delle “disabilità invisibili” è un tema molto delicato e, ancora oggi, di difficile comprensione per buona parte delle persone normodotate.

A volte sembra che se una difficoltà non la si può osservare, toccare o comunque percepire fisicamente, allora questa non esista o, comunque, sia di poco conto e per questo meriti una minore attenzione. Insomma, se non sei in carrozzina o non mostri un’evidente malattia, allora puoi meritarti la superficialità, la sufficienza della società.

Pensiamo, ad esempio, ai disturbi ritenuti più banali rispetto ai problemi fisici: l’ansia e la depressione ne sono un chiaro esempio. Attenzione, non parlo di disabilità mentali o psichiatriche, ma di uno stato più generalizzato ma comunque invalidante: quante volte le persone, davanti a questa condizione, hanno risposto “eh ma forse è solo stress, pensa positivo!”; oppure “è solo nella tua testa” quando si avvertivano problemi interiori; fino al peggiore “come sei lamentoso/a!” davanti a una malattia non chiara allo sguardo.

Ecco, tutti questi modi di sminuire il disagio altrui dipendono molto spesso da uno sbagliato uso della ragione, ma soprattutto dall’assenza di empatia che non permette di fare una cosa fondamentale: ascoltare, e quindi fidarsi dell’altro e di ciò che prova. Il risultato è che, inevitabilmente, si crea una sorta di classifica della sofferenza, dove i primi posti spettano a quelli che “si vede che stanno male”, mentre gli ultimi a quelli che “fanno troppe storie”.

Ti faccio un esempio quotidiano: ogni persona con un’alta percentuale di disabilità (qualunque disabilità) ha il tagliando per poter parcheggiare l’auto nei posti gialli riservati. Ebbene, questo spetta anche a persone, ad esempio, cardiopatiche o magari oncologiche, perché non possono percorrere, o comunque devono limitare, le lunghe tratte a piedi per non affaticarsi. Eppure non si può sapere, da fuori, che quella persona ha un qualche problema solamente guardandola: sai quanti messaggi ricevo di persone che, a causa di una loro disabilità invisibile, hanno discusso con chi pensava avessero sfruttato il pass della nonna anziana disabile? Un sacco! (Per fortuna, in questo caso, la foto sul retro del tagliando ci viene in aiuto anche se, per privacy e per etica, non saremmo certo tenuti a mostrarla a dei passanti).

Per carità, anni e anni di falsi invalidi, tutt’oggi in voga con la compiacenza di medici e politici, hanno sicuramente reso le persone diffidenti (in questo caso, direi per fortuna se solo si trattasse di mero scrupolo e attenzione), ma in questo caso stiamo parlando di un pregiudizio più profondo, culturale.

Tutto questo per dire che quando vengono garantiti alcuni diritti, c’è sempre la “testa a pinolo” di turno che vuole vedere quei diritti meritati fino in fondo, in questo caso con la sofferenza più palese. E a questo gioco morboso, purtroppo, non vedo una soluzione. Posso solo sperare che non ci sia più bisogno di verificare lo stato altrui per essere certi che la tutela della sua libertà sia concessa “per merito”, ché tanto alla fine, se ci pensiamo, non toglie niente a nessuno.

Iacopo.

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