L’insegnante di sostegno serve alla classe e non al singolo, altrimenti ghettizziamo la disabilità

di Iacopo Melio

Pubblicato il 2021-09-20

Inaugura oggi “Dillo a Iacopo”, la nuova rubrica di Iacopo Melio, che risponde ai lettori sui temi più attuali della società, sui diritti e i doveri, sulla sostenibilità e la politica, quella che fa ognuno di noi nel quotidiano

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Caro Iacopo

Sono Simone, un insegnante che vuole condividere con te una riflessione. Credo sia ora che le istituzioni affrontino in maniera seria la questione degli studenti con disabilità. Mi spiego meglio. Nella scuola italiana c’è ancora confusione tra insegnante di sostegno e OSS: di solito gli studenti con disabilità più gravi vengono coperti” a turno da una delle due figure, ignorando il fatto che hanno ruoli e formazione diversa. Poi: i pochi insegnanti di sostegno abilitati sono affiancati da insegnanti precari che spesso non hanno nessuna formazione adeguata (a cui si aggiunge una bassa predisposizione per questo tipo di lavoro). Capita infatti che a ragazzi appena laureati vengano affidati studenti con problematiche di difficile gestione. Tutte questi aspetti vengono taciuti, ignorati come se si volesse dire: accontentati. Quanto vorrei che finalmente si aprisse un tavolo di discussione senza retorica e ipocrisia! Grazie.”

Simone

Caro Simone… Sono, senza dubbio, d’accordo con te sulla confusione in materia. Io stesso, alle scuole superiori, ho avuto sia ore di sostegno che ore di assistenza OSS/OSA per coprire, appunto, qualche “buco” rimasto sull’orario settimanale. Questo avveniva soprattutto durante le ore di educazione fisica, dove talvolta mi capitava di fare lavori alternativi o ginnastica individuale.

Il mio caso, come capirai, è un caso un po’ “eccezionale” avendo una disabilità prettamente fisica, e per questo il sostegno era esclusivamente pratico (anche per questo, il me adolescente lo ha sempre accettato poco… diciamolo): banalmente, vestirmi e spogliarmi, cambiare aula, fare disegni tecnici (dovendo usare grandi strumenti), andare in bagno (anche se, per questo, c’era un bidello abilitato appositamente, dal momento che le insegnanti di sostegno non lo sono quasi mai), e tutto ciò che, a causa delle mie mancanze fisiche, non riuscivo a svolgere da solo.

Va da sé come avere una o l’altra figura, docente o assistente, e il loro relativo grado di preparazione, sia sempre stato secondario.

A prescindere da questo, ciò che andrebbe rivisto è senza dubbio l’approccio: le persone con disabilità, come qualunque altra persona così detta “normodotata”, non sono tutte uguali, e per questo occorre sempre “modellare” il sostegno in base a chi si ha davanti, di volta in volta. Sostegno che, ricordiamo, dev’essere alla classe, in modo inclusivo e trasversale, e non al singolo alunno, altrimenti si finirebbe col creare una sorta di ghettizzazione quando, invece, l’insegnante ha un ruolo fondamentale in questo senso, fungendo da collante sociale e relazionale tra le ragazze e i ragazzi.

Trattare tutti gli alunni con disabilità allo stesso modo significa non avere un approccio efficace al sostegno, svolgendo un ruolo senza averne compreso il senso, ma soprattutto apre ad una triste verità: molti, per fortuna non tutti, gli insegnanti che si occupano di sostegno, lo fanno per ottenere punteggio per poi entrare, appena possibile, di ruolo sulla “materia”. Ecco perché la formazione al sostegno dovrebbe essere sempre più specifica e settoriale, affinché chiunque intraprenda questo percorso non solo abbia gli strumenti adeguati per un corretto lavoro, ma sia anche pienamente motivato nell’andare a svolgere un ruolo importante e delicato (così come lo è quello degli OSS e degli OSA, fin troppo sminuiti).

Speriamo che, col tempo, la formazione al sostegno diventi settoriale e si crei, veramente, una piena consapevolezza di quanto occorre per poter supportare i nostri ragazzi davvero, imparando non soltanto ad aiutarli ma a sprigionare le loro potenzialità. Ché quelle ci sono sempre, in ognuno di noi.”

Iacopo.

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