Il diritto di invecchiare con dignità ai tempi della pandemia

di Iacopo Melio

Pubblicato il 2022-01-08

Per la rubrica “Dillo a Iacopo”, Iacopo Melio affronta il delicatissimo tema dei diritti dell’anziano all’interno delle Rsa nell’epoca del Covid

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“Caro Iacopo, cosa ne pensi di come sia gestita la pandemia nelle RSA? A me sgomenta vedere come in molte situazioni gli anziani siano stati dimenticati. Grazie, Claudio”.

Caro Claudio, ho parlato di questo giusto qualche giorno fa con una ragazza che mi aveva contattato su Facebook: si chiama Giorgia De Zanetti, ha ventidue anni e vive a Padova con i suoi genitori, fratello, cane e gatto!

Giorgia è laureata in Scienze della Formazione, curriculum “educatore sociale e culturale” all’università di Bologna, dove adesso frequenta la magistrale di Progettazione e gestione degli interventi educativi nel disagio sociale. Nel suo messaggio, mi raccontava appunto come, con il suo attuale lavoro proprio in una RSA, abbia toccato il modo sconfortante in cui spesso siano trattati gli anziani:

«Il problema – mi ha scritto Giorgia – è che dal punto di vista istituzionale l’anzianità viene vista spesso come un decadimento che porta al nulla, invece la mia prospettiva è decisamente diversa: credo che l’anziano, con patologie o meno, non sia una persona alla fine della vita ma qualcuno che entra in una nuova fase, per questo bisognerebbe calibrare i servizi in maniera diversa e valorizzarli molto di più. Invece ci sono dei poveretti che sono limitati in contesti non adatti a loro».

Ovviamente, l’intento di Giorgia (e pure il mio) non è certo quello di generalizzare. Ci sono pur delle realtà che, di fatto, sono dei fiori all’occhiello nel panorama del welfare, sia istituzionale che del terzo settore. Non dobbiamo però nascondere una certa tendenza a trattare le persone anziane, un po’ come quelle con disabilità, tutte allo stesso modo, inserendole in un unico scompartimento e offrendo loro strumenti e servizi non sempre personalizzati. E questo, inevitabilmente, è adesso accentuato dalla pandemia che sottrae tempo, limita risorse economiche e possibilità pratiche, utili a intervenire in modo differenziato.

«Io stessa faccio molta fatica a far accettare le attività che propongo nella struttura, proprio perché sono fuori budget, oppure impiegano troppo personale. Questa cosa mi fa molto arrabbiare, e poi mi spaventa pensare a chi invecchierà in un Paese con una prospettiva sull’anzianità che pensa “tanto non si rendono conto di niente”».

E invece, gli ospiti delle strutture, si rendono conto eccome di ciò che accade loro, percependo l’energia dell’ambiente circostante. Anche per questo il decadimento mentale può accelerarsi maggiormente rispetto all’alloggio nel proprio domicilio, quando l’istituzionalizzazione porta a vedere i soggetti come “pazienti” e non come “persone”. Secondo Giorgia, infatti:

«Il modello prevalente di struttura e di servizio per gli anziani che ho affrontato è sempre stato altamente ospedalizzato e medicalizzato, quando invece la persona e i suoi bisogni nell’età anziana non si limitano soltanto alla salute fisica, ma andrebbero considerati anche i loro bisogni emotivi, psicologici, affettivi. Bisognerebbe rivedere proprio l’architettura delle strutture rendendole “casa” in quanto quello diventa il loro luogo di vita quotidiano».

A questo proposito, mi vengono in mente quelle strutture che al loro interno hanno ricreato addirittura delle scene della società: la fermata dei bus, vagoni dei treni, finti negozi, sale d’aspetto, giardini… Eccellenze la cui missione è quella di “accompagnare” gli anziani rassicurandoli e assecondandoli senza traumi o alienazioni che ulteriori.

Insomma, la speranza è che col finire della pandemia si rimetta in discussione anche tutto il sistema di assistenza delle persone più fragili, capendo che ognuna di loro è una risorsa, a qualunque età, e che su quella risorsa dobbiamo scommettere fino alla fine, investendoci il più possibile. D’altronde il Covid ci ha messi davanti ai nostri punti deboli: approfittarne per imparare è un dovere, per ripartire proprio con giovani come Giorgia che hanno una sensibilità nuova, fondamentale.

«Ho voluto fare questo lavoro perché credo che la vita sia degna per chiunque» continua Giorgia che, adesso, lavora con anziani aventi Alzheimer e demenza senile. «Ognuno si merita di avere voce e purtroppo ci sono situazioni dove è difficile essere ascoltati. Spero di essere all’altezza per farlo».

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