Attualità
Perché la morte di Imane Fadil è ancora un mistero
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-03-25
La posizione di Saeed Ghanaymi, il siriano residente a Milano che era stata la porta di accesso di Imane ad Arcore. Oggi è amministratore di un’azienda siderurgica del bergamasco
Carlo Bonini e Sandro De Riccardis su Repubblica oggi parlano del caso della morte di Imane Fadil dopo i risultati degli esami che hanno escluso la presenza di radioattività nel corpo della modella. Attualmente le indagini sono in un vicolo cieco. La cui via d’uscita potrebbe essere nell’ipotesi più semplice, che ad uccidere Imane sia stata una rara malattia autoimmune che, collassando il midollo ha prodotto una grave sindrome epato-renale il cui effetto è stato trattenere nell’organismo quelle tracce un po’ fuori norma di metalli. E che tuttavia, nelle more dell’autopsia, è stata bilanciata dal lavoro di squadra Mobile e Procura nell’esplorazione dell’altro scenario. Quello violento di un avvelenamento, tanto sofisticato quanto allo stato ignoto nei suoi componenti, di cui i metalli pesanti sarebbero la traccia.
È un lavoro che si muove su dati circostanziali, sullo studio e incrocio dei tabulati telefonici di Imane, su due uomini più importanti di altri nella sua vita, e su un’indicazione tanto generica quanto diretta, di Souad Sbai, giornalista, ex deputata Pdl e Presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia. È così che torna ad essere osservata la posizione di Saeed Ghanaymi, il siriano residente a Milano che era stata la porta di accesso di Imane ad Arcore. Frequentatore del giro delle «olgettine» e che, all’epoca, le aveva messo in mano un cellulare e tre schede telefoniche intestate a una inesistente cittadina rumena residente a Napoli di cui faceva fede una falsa carta di identità. E che oggi, per pura e suggestiva coincidenza, è amministratore di un’azienda siderurgica del bergamasco. Che dunque tratta metalli.
Ed è così che la Mobile si mette dietro anche a uno “sceicco”, così viene genericamente indicato, residente negli Emirati, che dicono frequentasse Milano, che con Imane aveva avuto una relazione e che Imane, negli ultimi due anni, per certo era andata a trovare almeno una volta. Ed è così infine che viene ritenuto utile ascoltare in Procura Souad Sbai, subito dopo la sua intervista a Repubblica. Nel suo racconto, pure privo di indicazioni specifiche e sfidato dall’annuncio ufficiale di una querela per diffamazione delle autorità marocchine, l’ambasciata marocchina a Roma è evocata come il perno di un altro tipo di cene eleganti in cui Imane sarebbe finita insieme ad altre ragazze. Utilizzate come honey trap, trappola al miele, in cui catturare, con l’arma del ricatto, uomini d’affari, potenziali informatori e in genere quel mondo che si muove felpato intorno al Potere dei soldi. Dove Imane avrebbe commesso un passo falso. Fatale.
Leggi anche: Sergio Vessicchio: il telecronista che insulta la guardalinee prima di Agropoli-Sant’Agnello