Come Minenna vuole far sparire lo spread (e perché non funzionerà)

di Massimo Famularo

Pubblicato il 2018-12-11

“La condivisione dei rischi che conviene a chi è più rischioso” In un recente articolo pubblicato sul Sole24Ore, Marcello Minenna, dirigente Consob e docente non accademico alla Bocconi, ha riproposto una ipotesi di «graduale “condivisione dei rischi” sul debito pubblico dell’Eurozona» elaborata alcuni mesi orsono insieme agli economisti Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Roberto Violi. In estrema …

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“La condivisione dei rischi che conviene a chi è più rischioso”

In un recente articolo pubblicato sul Sole24Ore, Marcello Minenna, dirigente Consob e docente non accademico alla Bocconi, ha riproposto una ipotesi di «graduale “condivisione dei rischi” sul debito pubblico dell’Eurozona» elaborata alcuni mesi orsono insieme agli economisti Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Roberto Violi. In estrema sintesi, si tratta di costituire un’assicurazione comune sul debito pubblico in rifinanziamento, articolata in modo che ogni paese paghi, oltre al proprio debito anche «un premio assicurativo determinato attraverso strumenti di mercato (i credit default swap o CDS) da destinare a un rafforzamento patrimoniale del fondo Salva-Stati e la garanzia interviene in caso di elevate difficoltà finanziarie non riconducibili a comportamenti opportunistici dello Stato emittente». Obbiettivo dichiarato di questa proposta è l’eliminazione graduale dello spread tra i titoli dei diversi paesi e la sostituzione, nell’arco di 10 anni dei debiti pubblici sovrani con un unico debito pubblico dell’eurozona. Viene inoltre ventilata la possibilità che le risorse raccolte dal fondo tramite i premi assicurativi vengano impiegate in «un grande piano di investimenti nell’Eurozona, in modo da creare de facto una golden rule per gli investimenti che integri costruttivamente l’algebra del Six Pack e del Fiscal Compact». Di seguito vorrei esporre alcuni dubbi sull’architettura logica di questa proposta.

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Marcello Minenna

1. Se il presupposto di tutto è la disciplina fiscale e non c’è alcuna diminuzione immediata o rimodulazione degli oneri di aggiustamento, qual è il vantaggio per un paese ad alto rischio/debito nell’aderire a un progetto del genere?
2. Nello schema si parla di un premio assicurativo pagato dai paesi con più basso merito di credito, ma non si fa menzione dell’incremento nel costo di finanziamento per i paesi con basso rapporto debito/pil derivante dal nuovo debito condiviso – La condivisione dei rischi comporta vantaggi evidenti per i paesi che oggi hanno rapporto debito/pil superiore alla media e altrettanti svantaggi per i paesi in posizione simmetrica, perché questi ultimi dovrebbero accettare?
3. Impiegare i fondi raccolti in investimenti pubblici, che tipicamente sono illiquidi, non ne riduce la funzione di mitigazione del rischio?
Con riferimento al punto 1, citando dall’articolo del Sole leggiamo (aggiungo io il grassetto):

«Il convitato di pietra all’Eurogruppo resta il principio del risk-sharing, cioè della condivisione del rischi tra Paesi core e quelli della periferia. (…) In questa prospettiva bisognerebbe lavorare su soluzioni che possano rendere politicamente accettabile e finanziariamente blindata la condivisione dei rischi all’interno dell’Unione, ovviamente attraverso dei presidi che garantiscano allo stesso tempo che i rischi vengano ridotti; il percorso di integrazione non può realmente ripartire senza un concreto avvicinamento tra le parti» .

Se è pacifico che le differenze nei rendimenti da corrispondere sui diversi titoli di debito pubblico, dipendono dai differenti rischi sovrani e che qualsiasi ipotesi di nuove emissioni condivise presupponga una convergenza di questi rischi sovrani, non si comprende quale dovrebbe essere il valore aggiunto del meccanismo assicurativo. Stiamo dicendo che i paesi con rischio più alto dovrebbero “comprare” una copertura da quelli a rischio più basso e il prezzo pagato sarebbe non solo un premio assicurativo, ma soprattutto l’impegno a portare avanti politiche di bilancio “virtuose” in modo da allinearsi gradualmente ai paesi a basso rischio, dunque il vero convitato di pietra nelle discussioni attuali non è un ipotetico risk sharing, quanto piuttosto la perdita di sovranità necessaria per far convergere le politiche dei paesi che oggi presentano un merito di credito peggiore.
Il passaggio che convince di meno di tutto l’articolo è il seguente (evidenzio in grassetto):

«In questa maniera lo spread (cioè il differenziale di rendimento) tra i titoli dei diversi Paesi tenderebbe a scomparire nel tempo mentre le probabilità di un “cigno nero” per l’Eurozona si ridurrebbero approssimandosi a 0. Come si vede, non servono (per lo meno nella fase iniziale) né un budget federale né tantomeno l’Unione politica»

A che vale dire che non serve un budget federale né l’Unione politica, se in realtà stiamo dicendo che i paesi meno virtuosi devono comportarsi come se ci fosse una politica comune? Con riferimento al punto 2, se i paesi a basso rischio si accollano una quota aggiuntiva di debito, vedranno peggiorare il proprio rapporto debito/pil e di conseguenza incrementarsi il proprio costo di finanziamento (oltre un certo limite potrebbe anche peggiorare il rating). Questo potrebbe essere in parte compensato dai premi assicurativi pagati dai paesi ad alto rischio, se questi venissero appunto traferiti agli emittenti che vedono peggiorare la propria condizione, ma così non è: il premio viene pagato al fondo salva stati (che peraltro lo investe in infrastrutture), ma in caso di evento negativo saranno chiamati in causa i paesi che hanno accettato di “mutualizzare il rischio”.

Come già evidenziato in questo articolo di Giampaolo Galli quest’architettura non sta in piedi: o ipotizziamo una benevolenza illogica da parte dei paesi a basso rischio che accettano un maggiore rischio (e conseguente costo di finanziamento) senza ottenere una adeguata compensazione, oppure, se si costruisce lo schema in modo da fornire detta compensazione nulla cambia rispetto alla situazione attuale. Ultima grande perplessità risiede nell’impiego dei premi assicurativi investimenti da realizzare nell’area Euro: qualora il nostro paese dovesse avere difficoltà a ripagare il proprio debito, quale valore aggiunto potrebbe portare l’esistenza di un fondo investito, non dico nel ponte sullo stretto di Messina, ma anche solo nella Salerno Reggio Calabria? Quanta rassicurazione può dare ai nostri creditori la disponibilità di attivi illiquidi come infrastrutture? Per quanto bella possa apparire l’idea degli Stati Uniti d’Europa e per quanto utile possa essere la finanza e la teoria delle assicurazioni nello scomporre e trasferire i rischi, resta vero che non esistono pasti gratis: o una parte del conto la pagano gli altri paesi, o l’Italia si decide a mettersi in riga e il latinorum assicurativo finanziario serve a indorare la pillola agli elettori, tertium non datur.

Leggi sull’argomento: Marcello Minenna e il piano B per l’uscita dall’euro

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