Fact checking
Matteo Renzi e il centrosinistra dimezzato
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-12-07
Il PD parla di una coalizione di centristi con Casini e Lorenzin e una con i rimasugli di SEL e i sindaci: girano già bozzetti del simbolo “Sinistra e Progresso” con un sole che ride e una rosa. Ma l’implosione del centrosinistra rischia di avere una ripercussione grave alle urne
«Adesso le prossime elezioni politiche sono una sfida a due tra il centrodestra e il Movimento5 Stelle»: Bruno Tabacci con il Corriere della Sera riepiloga con poche parole il fallimento della coalizione di centrosinistra certificato ieri dal doppio addio di Giuliano Pisapia e Angelino Alfano, che hanno annunciato entrambi di voler rinunciare a correre con i loro partiti e movimenti alle urne nella coalizione animata dal Partito Democratico di Matteo Renzi.
Il centrosinistra dimezzato
Nessuno immaginava nemmeno lontanamente che Campo Progressista e Alternativa Popolare portassero in dote tanti voti da poter ribaltare i risultati annunciati delle elezioni, ma visto che il Rosatellum è una legge proporzionale con correzione maggioritaria ogni apporto poteva essere importante nel collegio e nella competizione tra liste. E invece il PD si trova oggi a dover fronteggiare il ritiro di Pisapia e quello di Alfano e a dover promettere una edizione in tono minore della coalizione, con una lista di sinistra che avrà dentro ex SEL come Zedda, Smeriglio, Uras, Ragosta, Stefàno e poi una lista centrista con Pier Ferdinando Casini e Beatrice Lorenzin. Mentre la terza lista alleata sarà quella di +Europa di Emma Bonino. Oltre ai cespugli dell’Italia dei Valori, dei Verdi e dei socialisti di Nencini.
E questo nonostante le cronache raccontino di tentativi al limite del surreale da parte di Matteo Renzi di convincere Pisapia a rimanere dentro sostenendo di aver convinto Alfano a ritirarsi. Ha tentato da ultimo anche Paolo Gentiloni, assicurando che il governo sta lavorando con convinzione per portare a casa lo ius soli. Ma niente da fare, tempo scaduto. «Sono stato sottoposto per mesi a uno stillicidio, non ne posso più — ha detto Pisapia nel vertice con i collaboratori più stretti, in un hotel nel centro di Roma —. Se credevano che avrei fatto da stampella al Pd, mi hanno sottovalutato. E perché tutte queste promesse non le hanno pronunciate in pubblico?».
Lo ius soli e l’ultima goccia
Lo ius soli è stata l’ultima goccia. Dopo aver proposto e sostenuto l’approvazione della legge alla Camera nonostante gli ululati di Lega ed estrema destra, Renzi si è improvvisamente accorto che nei sondaggi l’approvazione di quella legge, che di “ius soli” in senso tecnico ha solo il nome – ma è proprio quello a fare paura – avrebbe portato il PD a perdere due punti percentuali. Una situazione surreale visto che questo tipo di conti di solito si fa prima e non dopo. E che disegna, spiega oggi Massimo Franco sul Corriere della Sera, i contorni di un partito incapace di aggregare:
Il problema è che ormai si erano delineati due campi incompatibili tra loro, e divisi da odi politici irriducibili: anche per questo nessuno si fidava delle garanzie offerte. E agli interlocutori era sempre più chiaro che a loro rimaneva il ruolo residuale dei satelliti, attirati con il miraggio di seggi sicuri soltanto sulla carta. Ma soprattutto, si è sedimentata l’impressione di una riforma elettorale fatta male e con effetti paradossali. Un Pd sicuro di tagliare le unghie al Movimento Cinque stelle e di costringere i frammenti della sinistra a trattare da una posizione di subalternità, si è ritrovato spiazzato.
Ha capito, dalle elezioni in Sicilia a ottobre, che il vantaggio della «sua» riforma andava a beneficio del centrodestra e delle sue capacità di coalizzarsi; e che, invece dell’inseguimento nostalgico del 40 per cento delle Europee del 2014, e del 41 per cento del referendum perso un anno fa, doveva cercare rapidamente alleati. L’operazione non è riuscita. E, segnale peggiore per il Pd, il gruppo degli scissionisti di Mdp, più SI e altri,si è compattato intorno a Grasso. L’arrivo dei seguaci di Pisapia non aggiungerà granché in termini di voti; ma simbolicamente accentua l’immagine di un Pd incapace di aggregare. Renzi non sopravvaluta quanto è successo.
L’appeal elettorale di Casini e Lorenzin
Al di là delle ironie ora sarà difficile valutare l’appeal elettorale degli uomini che la coalizione di centrosinistra vorrà portare con sé al prossimo giro. Pierferdinando Casini, ad esempio, dovrà anche spiegare le facili intuizioni che avrà chi farà sarcasmo sulla presidenza della Commissione banche. Beatrice Lorenzin, alfiere della campagna sulle vaccinazioni obbligatorie, si presenterà in campagna elettorale con molti haters al seguito. Ci sarà poi una lista di sinistra, con i centristi di Cp, Leoluca Orlando ed ex Sel come il sindaco di Cagliari Zedda, oltre a Socialisti e Verdi: girano già bozzetti del simbolo “Sinistra e Progresso” con un sole che ride e una rosa. Infine, i Dem sperano di attrarre i Radicali di +Europa, che domani vedranno Gentiloni per chiedere di dimezzare le firme per presentare liste alle elezioni, ma il cui ok non è scontato. Senza Pisapia, dicono i pasdaran renziani, il leader Dem sarà più libero di guadagnare terreno al centro.
Ma il centro è il terreno di caccia di Silvio Berlusconi, professionista del settore, e di Luigi Di Maio che si presenta alla liquefazione del sangue di San Gennaro. Con un’incognita in più: dal 1994 gli italiani al voto hanno punito, spesso severamente, chi si presentava alle urne dopo aver governato.