Il senso di Marco Travaglio per la democrazia rappresentativa (e il governo PD-M5S)

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-03-21

Il direttore del Fatto continua la sua opera di ricostruzione della storia della Seconda Repubblica. Ieri a Otto e Mezzo ha raccontato che nel 2013 il M5S era pronto ad andare al governo con il PD se i Dem avessero eletto Rodotà al Quirinale. Peccato che le cose non siano andate proprio così

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Il Fatto Quotidiano e Marco Travaglio sono impegnati da settimane in una campagna stampa per convincere il Partito Democratico ad appoggiare un governo a 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio. Un’impresa degna dei migliori “giornaloni”, come chiama il Direttore del Fatto quei quotidiani schierati a favore di un partito o di un altro. Ieri a Otto e Mezzo Travaglio ha rilanciato l’ipotesi di una consultazione di tipo referendario tra gli iscritti del Partito Democratico per decidere se dare i voti per la fiducia ad un eventuale governo Di Maio.

Perché Marco Travaglio spera in un governo M5S-PD?

Per Travaglio è solo questione di tempo, e il fattore tempo al momento gioca a favore del M5S e che quindi prima o poi il PD accetterà l’offerta così come è accaduto in Germania tra SPD e CDU. Certo, all’orizzonte si profila un accordo tra M5S e Centrodestra per l’elezione dei presidenti delle due Camere, ma questo non rappresenta un problema perché Travaglio non crede «che le alleanze di governo si facciano sulle presidenze delle Camere». Il punto infatti è che le alleanze di governo non si fanno nemmeno in base ad una consultazione referendaria tra gli iscritti. Semmai gli iscritti del PD possono ratificare o meno la proposta di accettare l’invito (che non è ancora stato formulato) di Di Maio a sostenere un suo esecutivo. Ma quella proposta deve essere fatta su un programma (o su alcuni punti) condiviso. Come è noto per Di Maio invece il programma è quello votato dagli iscritti (e modificato da non si sa chi in alcune parti) e la squadra di governo è quella dei supercompetenti “patrimonio del paese”.

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Come sempre la memoria corre a quei giorni tra febbraio e aprile 2013 quando le parti erano invertite e ad avere bisogno dei voti del M5S era il PD di Bersani. Per la verità la situazione non è proprio la stessa perché il Partito Democratico aveva una maggioranza solida alla Camera mentre al Senato gli servivano appena 17 voti. Oggi il M5S è ben distante dalla maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Travaglio come sempre ha la sua versione della storia: «All’epoca i due partiti erano arrivati pari, 25,5% il PD di Bersani e 25,5% i 5 Stelle. Ed era assolutamente impensabile che uno dei due chiedesse all’altro di portargli i voti gratis su un governo presieduto da Bersani con ministri scelti da Bersani e un programma scritto da Bersani».

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Fonte: Il Fatto Quotidiano del 13/03/2018

Segnaliamo intanto che Travaglio ha cambiato idea rispetto all’editoriale pubblicato il 13 marzo scorso dove invece aveva scritto «Pd e Pdl perdono le elezioni (-3,5 milioni di voti il primo, -6,5 milioni il secondo)
e i 5Stelle le vincono (da 0 a 8,6 milioni di voti)». Dimostrando per altro uno strano concetto di democrazia rappresentativa dove non vince chi prende più voti ma chi ne prende di più rispetto alla tornata elettorale precedente. Sempre in quell’editoriale, meno di dieci giorni fa, lo stesso Travaglio che ieri sera diceva che le alleanze di Governo non si fanno sulle presidenze delle Camere scriveva «Il centrosinistra potrebbe cedere la presidenza di una Camera al M5S, invece se le prende entrambe: Boldrini a Montecitorio e Grasso al Senato».

Marco Travaglio, il “colpettino di stato” e la memoria corta su Rodotà

Ma non c’è solo il famoso streaming con Lombardi e Crimi, non c’è solo l’elezione dei presidenti delle Camere. Secondo Travaglio tutto si sarebbe potuto risolvere – non si sa bene in base a cosa – con un accordo sull’elezione del Presidente della Repubblica: «però meno di un mese dopo lo proposero, quando lanciarono Rodotà candidato al Quirinale sarebbe stato il più bel Presidente della Repubblica dai tempi di Einaudi». La questione però fu più complessa di così: sul blog si tennero le Quirinarie e vinse Milena Gabanelli (che rifiutò), secondo arrivò Gino Strada (che rifiutò) e la scelta ricadde su Rodotà (che accettò). In lista c’era anche Romano Prodi, che all’epoca era stato candidato al Colle dal PD. Eppure Rodotà come Prodi non era proprio una figura che rispondeva ai valori e ai criteri grillini.

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Secondo Travaglio «Grillo disse ai piddini: votiamo insieme Rodotà Presidente della Repubblica e poi faremo un governo insieme e faremo ripartire l’Italia». Il problema è che Grillo quelle cose non le ha mai scritte sul blog. I giornali dell’epoca riportano un virgolettato non attribuito a nessuno che diceva «Convergete su Rodotà. Con lui al Colle, praterie per un governo» oppure «Scegliete Rodotà e parte il governo». Ora a parte il fatto che l’attribuzione è dubbia non risulta che Grillo abbia mai detto quella frase.

Secondo alcuni Grillo avrebbe detto quella frase durante un comizio in Friuli. Il 19 aprile 2013 Grillo era a Manzano e quando qualcuno dal pubblico dice “votate Prodi” il leader del M5S dice «nessuno del MoVimento 5 stelle si è mai sognato di votare Prodi come Presidente della Repubblica, il nostro presidente della repubblica è il signor professor Rodotà». Poco dopo Grillo parla degli accordi «e se c’è ancora qualcuno che ci rinfaccia che non abbiamo fatto accordi con il PD allora ha sbagliato a votarci perché noi siamo andati in Parlamento dicendo “tutti a casa”».

La vera storia delle “praterie del governo”

C’è sì un video del TG di La 7 con quel titolo ma curiosamente non si sente Grillo pronunciare il discorso delle praterie ma solo ripetere il post del Blog. C’è anche un altro video, con Crimi e Lombardi intervistati da Alessandra Sardoni durante le votazioni con il titolo M5S, Crimi e Lombardi: “votate Rodotà e poi si apriranno le praterie del governo” ma durante il servizio nessuno lo dice. La frase sarebbe stata quindi detta da Crimi e Lombardi durante l’Assemblea del gruppo parlamentare. Ma  come faceva notare Davide De Luca su Il Post: “il voto per Rodotà «aprirà praterie» viene riportato tra virgolette, mentre “per il governo” è un’aggiunta del giornalista”.

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I fatti sono quindi questi: il M5S ha tenuto le Quirinarie e i vertici hanno scelto uno dei nomi in lista (addirittura il 16 aprile Grillo chiedeva a Bersani di votare la Gabanelli). Questo nome è stato poi proposto al PD, ma senza cercare un accordo con il Partito Democratico. Facciamo finta che Travaglio abbia ragione e che effettivamente ad un certo punto qualcuno abbia detto che con Rodotà al Quirinale il M5S sarebbe stato disposto a formare o sostenere un governo. La domanda è: era una proposta credibile o un’uscita estemporanea per cercare di spaccare il PD che già era in crisi. In quei giorni il PD aveva ad esempio chiesto un incontro, il leader del MoVimento aveva risposto di sì, a patto che fossero presenti tutti i parlamentari di entrambi gli schieramenti. Un’opzione ovviamente impraticabile (oltre che insensata dal punto di vista politico).

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A rendere ancora meno credibile la ricostruzione di Travaglio ci sono una pletora di dichiarazioni, queste sì vere, di Grillo ed altri esponenti pentastellati di senso completamente opposto. Nei due mesi precedenti al voto per l’elezione del Presidente della Repubblica il MoVimento 5 Stelle aveva più volte ribadito la sua ferma intenzione di non appoggiare nessuno governo, tecnico o politico,«se portato avanti da ”questi partiti”». Travaglio (quello del 13 marzo) dovrebbe ad esempio rileggere questo post sul Blog del 1 marzo 2013 dove Grillo diceva: «In questi giorni è in atto il mercato delle vacche. Al M5S arrivano continue offerte di presidenze della Camera, di commissioni, persino di ministri. Il M5S, i suoi eletti, i suoi attivisti, i suoi elettori non sono in vendita». Per la cronaca il famoso streaming è del 27 marzo 2013. È lo stesso Grillo a dire che il PD aveva offerto dei ministeri al M5S, è evidente che quando si è arrivati all’incontro Bersani-Crimi-Lombardi queste offerte erano già state rifiutate e che quindi non aveva senso proporre ai 5 Stelle di entrare al governo. Ieri invece Travaglio ha continuato a  a raccontare che il M5S nel 2013 era pronto a fare un accordo con il PD, accordo che non è mai esistito nemmeno come ipotesi, perché al MoVimento faceva più comodo stare all’opposizione che “svendersi” ai vecchi partiti che ne rappresentavano l’antitesi. Nel 2013 il M5S avevano due obiettivi: mettere in difficoltà il Partito Democratico e far vedere agli elettori che i vecchi partiti erano disposti ai peggio inciuci pur di governare e dare la fiducia ad un governo “non eletto dal popolo”. Ironia della sorte oggi il MoVimento dovrà fare un bell’inciucio con uno a scelta tra Centrodestra e PD per poter andare al governo e Travaglio preferisce che per farlo passi sul cadavere del PD. Sarà un altro governo “non eletto dal popolo”?

Leggi sull’argomento: Travaglio e Berlusconi dietro le accuse di lobby gay a Di Maio

 

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