Opinioni
La condanna di Marco Travaglio per diffamazione di tre giudici
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-01-22
Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione ai danni di tre magistrati siciliani per un articolo sull’assoluzione degli imputati del processo sulla latitanza e la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Lo rende noto all’agenzia di stampa ANSA Carlo Arnulfo, legale dei magistrati Mario Fontana, Wilma Mazzara e […]
Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione ai danni di tre magistrati siciliani per un articolo sull’assoluzione degli imputati del processo sulla latitanza e la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Lo rende noto all’agenzia di stampa ANSA Carlo Arnulfo, legale dei magistrati Mario Fontana, Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere. Il Tribunale ha disposto una provvisionale di 150 mila euro, riferisce l’avvocato, “una cifra mai vista”, sostiene.
I tre formavano il collegio – IV Sezione Penale – che giudicò gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia nella persona del superboss e che vennero assolti. Nell’articolo del 16 ottobre 2013 Travaglio scrisse tra l’altro “ora abbiamo anche la ‘cluster sentenza’ che non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”. Travaglio si riferiva al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, attualmente ancora in corso a Palermo, che sarebbe stato condizionato da quella sentenza. Nell’editoriale, di cui si trova ancora copia integrale su Cinquantamila Corriere di Giorgio Dell’Arti si leggeva tra l’altro:
Poi finalmente, a pagina 846, i cluster giudici si ricordano dei loro imputati, cioè Mori e Obinu. E scrivono che sì, in effetti, evitare di catturare Provenzano due anni dopo aver evitato di perquisire il covo di Riina non fu una bella cosa. Anzi fu – con rispetto parlando – una “scelta operativa discutibile”, in cui “non mancano aspetti opachi”. Una “condotta attendista” che sarebbe “sufficiente a configurare in termini oggettivi il reato di favoreggiamento”. Ma – e qui casca l’asino – non in termini soggettivi, perché “non è adeguatamente provato” che Mori l’abbia fatto “per salvaguardarne la latitanza”.
In effetti ci sono un sacco di spiegazioni alternative: la sbadataggine? l’amore a prima vista? la forza dell’abitudine? una zia malata? un attacco di labirintite? Del resto, quando la mafia iniziò a mettere le bombe, Mori avviò una trattativa con la mafia: e nessuno, si spera, vorrà negare “la meritevolezza delle finalità di evitare le stragi”. Solo che la mafia le stragi le faceva apposta per trattare, dunque la trattativa ne produsse altre, e pazienza per le decine di morti ammazzati che non seppero cogliere la meritevolezza della finalità. Dev’essere per questo che Mori fu promosso comandante del Ros e poi del Sisde: per mettere il Paese in buone mani.
Ps. Ah, dimenticavo: gli asini volano.
La sentenza aprì anche una polemica tra il procuratore aggiunto Teresi e i tre giudici: Teresi non l’aveva presa bene, tanto che accusò i giudici di “aver scritto la sentenza di un altro processo”. Poi chiese scusa ai colleghi ma la sua accusa era stata troppo violenta. E così i tre giudici del collegio (Mario Fontana, Wilma Angela Mazzara e Annalisa Tesoriere) hanno indirizzato una lettera a tutti i colleghi per rispondere. L’8 giugno 2017 la Cassazione ha assolto in via definitiva Mori e Obinu. Il 19 maggio 2016 era arrivata la conferma della sentenza di assoluzione emessa in primo grado. La provvisionale nei confronti di Marco Travaglio è altissima e decisamente inusuale in processi per diffamazione di questo tipo. Le motivazioni della sentenza forse ne spiegheranno nel dettaglio il motivo.