Il limite del 3% nel rapporto deficit Pil NON è una boiata pazzesca

di Fabio Scacciavillani

Pubblicato il 2018-09-13

Nell’Himalaya delle farneticazioni in materie economiche una vetta si staglia maestosa sull’orizzonte, ragliata ripetutamente e rumorosamente in tutte le stalle somariste di lotta e di governo. Riguarda il limite del 3% nel rapporto tra deficit pubblico e Prodotto Interno Lordo (Pil) stabilito nei Trattati Europei per i paesi che hanno adottato l’euro. In realtà i Trattati …

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Nell’Himalaya delle farneticazioni in materie economiche una vetta si staglia maestosa sull’orizzonte, ragliata ripetutamente e rumorosamente in tutte le stalle somariste di lotta e di governo. Riguarda il limite del 3% nel rapporto tra deficit pubblico e Prodotto Interno Lordo (Pil) stabilito nei Trattati Europei per i paesi che hanno adottato l’euro. In realtà i Trattati Europei stabiliscono che i paesi membri debbano puntare al pareggio di bilancio, soprattutto quelli che, come l’Italia, hanno un debito stratosferico al limite della solvibilità.
Ad ogni modo la farneticazione somarista si scaglia contro questo fatidico 3% adducendo una delle miriadi di bufale che gira tra gli sciroccati, cioè che un oscuro funzionario del governo francese si sia inventato questo limite arbitrario d’amblé, magari mentre era un po’ brillo. E pertanto i somaristi sono convinti che gente del calibro di Ciampi, Tietmeyer, de Larosière si sia rivolta ad una mezza tacca qualunque per farsi spiegare le tabelline. Insomma i migliori banchieri centrali europei, secondo la vulgata somarista, non sapevano fare di conto, e avevano bisogno di qualche travet francese per fissare i parametri di politica fiscale nel trattato europeo più importante del Dopoguerra.

spread 3 per cento
E ovviamente i suddetti somaristi sono convinti che i mercati finanziari mondiali, i governi di una dozzina di paesi, e i rispettivi Parlamenti abbiano accettato la paturnia senza alcuna verifica o vidimazione. Cioè sono convinti che nel mondo tutti si comportino come i pecoroni che votano sulla piattaforma Rousseau accettando sempre senza fiatare quello che gli sottopongono i caporioni.
A nulla valgono le argomentazioni di gente con un minimo di cervello (non composto al 90% di acqua) che confutano la bufala. L’ulltima in ordine di tempo è stata Veronica de Romanis su Il Foglio. Ogni due per tre i vari Di Maio, Fassina e un assortimento di macchiette accademiche (peraltro ispirate da Prodi) insistono che il limite non ha alcun senso. Recentemente poderosi ragli sono arrivati persino dalla Bocconi e qui mi taccio per non infierire su un’istituzione che non merita il ludibrio a causa di un ordinario a digiuno di aritmetica e logica elementare. Per demolire ed estrarre una volta per tutte dalle menti farneticanti la nozione che il 3% sia un limite arbitrario (anzi “stupido” come ebbe ad esternare Prodi) ho preparato una tabellina utilizzate per la didattica ai bambini delle elementari. Riporta il Pil, il debito pubblico e altre variabili economiche per un ipotetico paese dell’eurozona.

La prima colonna indica gli anni futuri. La seconda colonna indica il Pil nominale (ipotizzato pari a 100 miliardi di euro per semplificare i calcoli ai bambini); la terza colonna indica il debito pubblico (di nuovo 100, qundi cifra tonda di nuovo per semplficare); la quarta colonna indica il rapporto deficit Pil nell’anno in corso, la quinta colonna il tasso di crescita reale del Pil; la sesta il tasso di inflazione (per essere precisi dovrebbe essere la variazione del deflattore del Pil ma non voglio confondere i pargoli) e l’ultima colonna è il rapporto debito Pil. Nel primo anno questo paese immaginario parte da un rapporto debito/Pil pari al 100%. Nel secondo anno il deficit (dell’anno precedente) è stato pari al il 3% del Pil, il debito aumenta a 103 miliardi di euro. La crescita del Pil nominale nel secondo anni è data dalla somma del tasso di crescita reale e dal tasso di inflazione (per essere precisi dalla crescita del deflattore del Pil). Nel nostro esempio rispettivamente il 2,0% e l’1,5%. Ora si veda cosa succede all’ultima colonna: con il passare degli anni il rapporto debito Pil scende lentamente. Molto lentamente. In 30 anni passa dal 100% del Pil al 91%.

A questo punto dovrebbe essere chiaro anche a chi ha il cervello posizionato tra un paio di lunghe orecchie pelose perché fu fissato questo limite del 3%. All’epoca della stesura del Trattato di Maastricht la crescita reale media dei paesi europei era appunto poco meno del 2% e il tasso di inflazione media che si intendeva far perseguire alla futura banca centrale europea era intorno all’1,5%. Detta in altri termini la crescita nominale media nell’esperienza storica di quei tempi era sta prudentemente fissata al 3,5%. Quindi il 3% nel rapporto deficit/Pil rappresentava un limite alla politica fiscale che avrebbe comunque permesso, in tempi normali, di evitare una spirale fuori controllo del debito. Quindi non si tratta di un parto malato di qualche sherpa, ma deriva da alcune semplici assunzioni basate sull’esperienza e su calcoli semplici. Valgono ancora quei numeri? Se guardiamo all’esperienza dei passati 10 anni quella crescita nominale per l’Italia è stata un miraggio. Ma questo implica che il limite del 3% è troppo blando non che sia troppo rigido, tanto è vero che il debito italiano continua ad aumentare anche se il deficit è inferiore al 3% del Pil.

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