Opinioni
La lettera al medico ignoto che sta sfidando Ebola
neXtQuotidiano 02/12/2014
Michele Farina sul Corriere della Sera pubblica oggi una lettera aperta al medico di Emergency che sta sfidando Ebola all’ospedale Spallanzani di Roma: Dottore, non c’è il suo nome sui giornali, uno striscione sulla facciata di un municipio, un hashtag virale. Ma tutti hanno sentito parlare di Lei: «Il medico italiano infettato da Ebola». Il […]
Michele Farina sul Corriere della Sera pubblica oggi una lettera aperta al medico di Emergency che sta sfidando Ebola all’ospedale Spallanzani di Roma:
Dottore,
non c’è il suo nome sui giornali, uno striscione sulla facciata di un municipio, un hashtag virale. Ma tutti hanno sentito parlare di Lei: «Il medico italiano infettato da Ebola». Il primo. Ad assisterla c’è un’intera équipe dell’Istituto Spallanzani di Roma, eppure l’Italia potrebbe sembrarle lontana, come per noi la Sierra Leone. È solo l’effetto di quel virus che s’è andato a cercare e a combattere all’ospedale di Emergency a Freetown, nemico che semina paura e solitudine?
Conosce quel distacco, lo conoscono i 50 operatori italiani che lavorano nella terra di Ebola. Lei è l’unico aviverlo due volte: da medico con lo scafandro addosso, da paziente isolato da tutto. Quanto il suo desiderio di privacy è conseguenza della nostra paura? L’ultimo bollettino, numero 7, dice che le sue condizioni «sono lievemente peggiorate». «Il paziente ha ricevuto la seconda infusione di plasma di convalescente, respira spontaneamente». È un sollievo che sia «normale la funzione renale», anche se la prognosi «continua a essere riservata». Non dovrebbe essere riservata a parole di circostanza, la consapevolezza di quanto sia importante il suo lavoro tra gli appestati di Ebola.
Un’epidemia che ha fatto settemila vittime ha spinto medici e infermieri da diverse parti del mondo a prendere un aereo controcorrente e atterrare in Liberia,Guinea, Sierra Leone. Tra malati chevomitano l’anima e il virus, sotto una tendache spesso dell’ospedale ha soltanto il nome.È uno sporco lavoro. È come il fango da cui emergono i rugbisti Azzurri che tanto ci inorgogliscono. Ma la paura del contagio, pur giustificata, non deve rendere invisibile la Nazionale di chi si gioca la vita in un’emergenza umanitaria. E’ la squadra di un medico anonimo che in una stanza super asettica in queste ore sfida il virus e (anche)il nostro senso di distacco.