Attualità
Le bugie di Attilio Fontana sulle mascherine e sulla zona rossa a Bergamo
neXtQuotidiano 03/04/2020
Ancora ieri il governatore sosteneva che “da Roma stiamo ricevendo le briciole: se noi non ci fossimo dati da fare autonomamente, avremmo chiuso gli ospedali dopo due giorni”. Ma i fatti lo smentiscono
Oggi il Fatto Quotidiano racconta le bugie di Attilio Fontana, governatore della Regione Lombardia, sulle mascherine e sui dispositivi di protezione individuale. Ancora ieri il governatore sosteneva che “da Roma stiamo ricevendo le briciole: se noi non ci fossimo dati da fare autonomamente, avremmo chiuso gli ospedali dopo due giorni”; per l’assessore al Bilancio Davide Caparini il governo è “sempre in ritardo di almeno tre settimane sui tempi dell’emergenza”. Ma, spiega oggi Marco Palombi, non è andata esattamente così:
Guardiamo le date: del 22 gennaio, ad esempio, è la prima circolare della Direzione generale della prevenzione sanitaria (il ministero della Salute) che invita le strutture sanitarie alla “stretta applicazione”dei protocolli stabiliti in casi di epidemia. Cose come “definire un percorso per i pazienti con sintomi respiratori” negli ospedali e negli studi medici in modo da non diffondere il contagio; definire le procedure per la presa in carico dei pazienti anche ac asa; far “indossare DPI (dispositivi di protezione individuale) adeguati”al personale sanitario tipo “filtranti respiratori FFP2, protezione facciale, camice impermeabile a maniche lunghe, guanti”per evitare che si infettino.
A questo proposito, la previsione era che sarebbero serviti dai 3 ai 6 set di DPI per caso sospetto, da 14-15 per ogni caso confermato lieve, dai 15 ai 24 per ogni caso grave. Le circolari del ministero non fecero però effetto,come non lo fece la lettera che il 4 febbraio la FIMMG della Lombardia, un sindacato dei medici di famiglia, scrisse alla Regione per chiedere: avete fatto un inventario dei DPI esistenti come previsto dalle linee guida nazionali? Distribuirete le mascherine ai medici di base? Nessuna risposta e, soprattutto, nessun DPI.
E le mascherine?
Il fabbisogno della Lombardia è calcolato in circa 300mila mascherine al giorno, 9 milioni al mese (è il 10% del fabbisogno italiano, calcolato in 90 milioni di pezzi mensili): sul sistema “Ada”–analisi distribuzione aiuti –della Protezione civile, i cui dati sono ufficialmente confermati dalla Regione tra 1 e 31 marzo a Fontana e soci sono state inviate da Roma circa 7,3 milioni di mascherine (quasi 5 milioni chirurgiche e 2,3 milioni Ffp2), l’80% dell’intero fabbisogno mensile oltre –tra le altre cose –a 470 ventilatori polmonari per terapia intensiva e sub-intensiva, cioè oltre il 60% dei nuovi posti letto vantati giusto ieri dal presidente Fontana, un centinaio di medici e due ospedali da campo. I DPI, però, continuano a non arrivare dove servono.
E c’è anche il caso della commessa fantasma:
A metà febbraio la Giunta ha deciso di centralizzare tutti gli acquisti di DPI in Aria Spa, una società regionale. Risultato: primi ritardi e la scoperta, all’inizio di marzo, che un ordine da 4 milioni di mascherine era da annullare. Perché? “L’azienda si era rivelata inesistente”, ha raccontato il consigliere regionale M5S Dario Violi, circostanza ammessa poi anche dall’assessore Caparini. A quel punto, però, l’emergenza era scoppiata in tutto il mondo, trovare mascherine in giro era quasi impossibile e sono partitele accuse a Roma.
Infine, la zona rossa di Bergamo:
Fontana ieri mattina ha detto: “Conte dovrebbe darmi due risposte. Primo, come faccio io che non ho titoli a bloccare un diritto costituzionalmente protetto. Secondo, con quali forze dell’ordine? Noi a Conte l’abbiamo chiesta la zona rossa. Inutile che cerchi di scaricare su di noi”. Ma da Palazzo Chigi ricordano come “sia prima dell’emergenza sia successivamente, i presidenti delle Regioni hanno il potere di emettere ordinanze di carattere urgente in materia sanitaria con efficacia limitata al territorio o parte di esso, secondo la legge 833/1978”. Un potere poi confermato anche dagli ulteriori recenti decreti emessi dal governo, e in base a cui “diverse Regioni hanno creato in autonomia zone rosse”. Come accaduto per Campania, Lazio e Calabria. Non per la Lombardia.