Il Truman Show della Lava Jato e il baraccone mediatico che lo sorregge

di Francesco Guerra

Pubblicato il 2019-02-26

Il Truman Show della Lava Jato va avanti nel solito turbinio di delazioni e arresti a catena, in un crescendo inquisitoriale, volto a sanzionare, una volta di più, la tribunalizzazione della politica, vera piaga del nostro glaciale presente

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Il giorno 21 febbraio la Folha di San Paolo, probabilmente il più importante quotidiano brasiliano, se ne è uscito con un articolo di Ricardo Balthazar, avente il seguente, roboante, titolo: “Ex avvocato della Odebrecht, che scappò dalla Lava Jato, ammette i propri reati in Spagna”. Da buon segugio, nonché conoscente della persona di cui l’articolo riferiva, ho deciso di fare ulteriori approfondimenti.

Il Truman Show della Lava Jato e il baraccone mediatico che lo sorregge

L’avvocato in questione è Rodrigo Tacla Duran, all’epoca dei fatti riportati uno dei legali della Odebrecht, assieme alla OAS, la società di costruzioni più coinvolta nella Lava Jato, ma, soprattutto, persona con doppio passaporto, la quale, già da alcuni anni, ha trovato rifugio in Spagna e ascolto, nelle sue critiche all’inchiesta firmata dal duo Moro-Dallagnol, presso le stesse autorità spagnole. Autorità spagnole, le quali hanno sempre negato qualsiasi mandato di estradizione nei confronti di Tacla Duran, non diversamente, peraltro, da come fatto da altri Paesi, quali il Portogallo, che mai hanno accolto richieste di estradizione, con riferimento alla Lava Jato, che riguardassero cittadini titolari di duplice nazionalità. Un elemento, questo delle mancate estradizioni legate alla Lava Jato, che aggiunge un ulteriore tassello alla generale sfiducia manifestata verso questa inchiesta ogni qual volta si varchino i confini brasiliani. Ma torniamo al nostro articolo e a ciò che concerne l’avvocato Rodrigo Tacla Duran. Ad una lettura disattenta e poco avvezza alle vicende giudiziarie brasiliane, l’articolo potrebbe pure apparire di un qualche spessore e interesse. Vi si dice, infatti, che, sulla base di un documento diffuso poco meno di una settimana fa dalla task-force della Lava Jato a Curitiba (e già qui qualche dubbio sarebbe lecito permetterselo), nel febbraio del 2017 Tacla Duran avrebbe dichiarato ai procuratori spagnoli di avere fatto trasferire fondi neri della Odebrecht, all’epoca cliente dello stesso avvocato, a due sue società aventi sede, rispettivamente, in Spagna e a Singapore, con ciò ammettendo, di fatto, di avere svolto il lavoro sporco per conto della Odebrecht, quanto da lui sempre negato dinanzi agli investigatori brasiliani. A questo punto il nostro lettore disattento sarà stato carpito dalle “cogenti informazioni” contenute nell’articolo, convincendosi del fatto che ci troviamo dinanzi alla tanto agognata smoking gun, mediante la quale sarebbe comprovata la responsabilità penale di Tacla Duran, egli stesso avendo ammesso di non essere stato un semplice consulente della Odebrecht, ma di avere partecipato al generale processo di riciclaggio di denaro organizzato, su scala internazionale, dalla multinazionale di Salvador de Bahia. Oltre a questo, immaginiamo anche che il nostro lettore disattento e digiuno di questioni di carattere giudiziario, sia parimenti digiuno di tutto quanto possa concernere il cosiddetto circo mediatico-giudiziario, vale a dire quel particolare corto circuito esistente tra mondo dell’informazione e mondo giudiziario, magistralmente descritto dall’omonimo libro di Daniel Soulez Lariviere, che sembra poter fare da perfetto, benché ingombrante, sfondo alla scriteriata cronaca giudiziaria brasiliana degli ultimi anni. Ecco, il citato articolo della Folha di San Paolo rappresenta, direi magistralmente, un tale corto circuito e adesso vediamo di capirne il perché, risalendo il corso del nostro tortuoso fiume.

sergio moro falcone

Dunque: l’avvocato Rodrigo Tacla Duran, nel febbraio del 2017 avrebbe ammesso all’autorità giudiziaria spagnola che, attraverso sue società, avrebbe aiutato la Odebrecht a riciclare fondi neri. Sempre stando all’articolo, una di queste società, che avrebbe riciclato il denaro della Odebrecht, si troverebbe proprio in Spagna. Sic stantibus rebus, logica vorrebbe che l’avvocato Tacla Duran, alla luce delle dichiarazioni fatte, fosse stato come minimo indagato, ma, assai più probabilmente, anche incriminato dalle stesse autorità spagnole già a partire dal febbraio 2017. Al contrario, ad oggi il nostro avvocato è un cittadino spagnolo, libero, che, in maniera altrettanto libera, esercita la propria professione e periodicamente denuncia i crimini commessi dalla magistratura brasiliana nello svolgimento dell’inchiesta Lava Jato. Torniamo, però, al nostro articolo, perché, come si dice, il diavolo si nasconde nei dettagli. Oltre a non essere indagato, né tantomeno incriminato, la Folha ci informa che Tacla Duran possiede la doppia cittadinanza, vive in Spagna e che le autorità di questo Paese, due anni fa, hanno respinto una richiesta di estradizione presentata dalle autorità brasiliane. Adesso, mentre il nostro lettore disattento già starà invocando la forca, il nostro lettore garantista si starà chiedendo come è possibile che l’avvocato Tacla Duran due anni fa abbia potuto ammettere, davanti ai procuratori spagnoli, un riciclaggio di denaro di dimensioni internazionali, non solo senza che questi lo incriminassero, ma addirittura impedendo che i loro corrispettivi brasiliani lo facessero, negando una richiesta di estradizione da questi inoltrata. A questo primo mistero, fa seguito un secondo e pure più fitto mistero, di cui l’articolo sempre ci informa. Sebbene trattato come un latitante dai magistrati della Lava Jato (ciò che, di per sé, potrebbe anche rappresentare un elemento a discolpa, visto l’impianto inquisitoriale della presente inchiesta), il nome di Tacla Duran, nel mese di agosto 2018 (errore: la decisione dell’Interpol è datata 20 luglio 2018), è stato rimosso dalle liste dell’Interpol. Giunti a questo punto, siamo speranzosi in merito al fatto che il nostro lettore disattento e quello garantista abbiano finito per convergere sul medesimo interrogativo: come è possibile che un soggetto che, nel febbraio del 2017, ha ammesso di avere riciclato fondi neri, non è stato arrestato, né estradato, ma, tutto al contrario, nel 2018 ha avuto il proprio nome cancellato dalla lista dei ricercati emanata dall’Interpol? La domanda è destinata a rimanere senza risposta e sconosciuto il contenuto effettivo della testimonianza di Tacla Duran alle autorità spagnole, alla luce delle incongruenze che siamo venuti sottolineando nel nostro articolo. La sola cosa che possiamo rilevare, nonostante l’articolo tenti di rinforzare la propria tesi, tirando in mezzo fatture fittizie, che sarebbero state emesse dalle società di Tacla Duran, è che, a distanza di due anni, gli inquirenti spagnoli non hanno imputato l’avvocato di alcunché con riferimento al riciclaggio di denaro della Odebrecht, sempre ascoltandolo come mero testimone. Sia come sia, la sola certezza che emerge dall’articolo della Folha è che il paradigma del corto circuito mediatico-giudiziario, nel quadro della Lava Jato, sembra per l’ennesima volta essere stato rispettato in pieno.

Da ultimo, giusto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, fa capolino nel suddetto articolo un elemento sul quale effettivamente ci sarebbe da indagare, ma che non riguarda Rodrigo Tacla Duran, bensì l’attuale Ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza, nonché ex giudice di punta della Lava Jato: Sérgio Moro. Sin dall’inizio del suo coinvolgimento nella Lava Jato, Tacla Duran ha denunciato i magistrati di avergli fatto pressioni, affinché dichiarasse crimini che non aveva commesso. Oltre a questo, che, altrove, probabilmente comporterebbe un approfondimento a fronte di accuse tanto gravi, vi è pure il fatto, più grave e varie volte denunciato da Tacla Duran, di come l’avvocato Carlos Zucolotto si fosse offerto come intermediario per ben remunerati “negoziati paralleli” tra lui e i pubblici ministeri della Lava Jato. Per la cronaca, Carlos Zucolotto è un potente avvocato di Curitiba, ex socio della moglie di Moro, Rosangela, in uno studio di avvocatura, amico intimo degli stessi Moro, nonché loro testimone di nozze. Le accuse di Tacla Duran a Zucolotto si basavano su conversazioni tramite cellulare, le quali mostravano la proposta di Zucolotto di diminuire la multa nei confronti di Tacla Duran, multa che ammontava a quindici milioni di dollari, portandola a cinque, cui dovevano aggiungersi altri cinque come “onorari esterni”, meglio conosciuti come tangenti. In data 30 novembre 2017, Tacla Duran, dalla Spagna, fece la sua deposizione alla Commissione Mista di Inchiesta, illustrando l’altro volto delle delazioni premiate all’interno della Lava Jato. Pur a fronte della strenua difesa fatta da Moro dell’amico Zucolotto (tanto per confermare la “neutralità” del potere giudiziario brasiliano), nel corso della sua deposizione l’ex avvocato della Odebrecht non solo presentò copie dei dialoghi con Zucolotto, ma fece sottoporre a perizia tali messaggi. Tale perizia, svolta dal perito giudiziario Castor Iglesias Sanzo, che fa parte della Associazione Spagnola dei Periti, organo che è responsabile per le perizie di polizia e per quelle giudiziarie in Spagna, confermò la veridicità di tali messaggi, collocandoli in uno spazio temporale compreso tra il 24 e il 25 maggio 2016. Da allora, però, non solo tutto tace, ma (vedi un po’ il caso alle volte!) Moro è diventato uno dei ministri di punta dell’attuale governo, non prima, ovviamente, di avere sbattuto al fresco tramite un processo degno dello Stato libero di Bananas – con ciò impedendogli di partecipare alle elezioni – l’ex presidente Lula, che, sondaggi alla mano, rappresentava il maggiore ostacolo per l’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza. A proposito, da quanto tempo andavano avanti i colloqui tra Bolsonaro e Moro? Da prima o da dopo la sentenza di Moro riguardante il triplex di Guarujá attribuito a Lula? Domande destinate a rimanere, con ogni probabilità, senza risposta, mentre il Truman Show della Lava Jato va avanti nel solito turbinio di delazioni e arresti a catena, in un crescendo inquisitoriale, volto a sanzionare, una volta di più, la tribunalizzazione della politica, vera piaga del nostro glaciale presente.

Leggi sull’argomento: Sérgio Moro e il “sogno” di un Brasile come Stato di polizia

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