Fact checking

La "tassa" del PD agli amministratori delle partecipate

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-09-01

Libero e il Fatto Quotidiano hanno “scoperto” che il PD chiede il versamento di una tassa a coloro che nomina all’interno delle partecipate e delle aziende pubbliche. Una prassi che non è illecita ma che secondo alcuni desta qualche dubbio sulla selezione “per competenze” dei manager pubblici

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Come si finanzia il Partito Democratico? Una parte (esigua) delle entrate proviene dal tesseramento degli iscritti o con il 2×1000 e dai rimborsi per le spese elettorali. Ma una fetta considerevole del finanziamento del PD è frutto dei versamenti e dei contributi effettuati da persone fisiche. Ovvero gli eletti del PD, così come già era in uso quando c’era il PCI o il PDS e come si fa in altri partiti, versano una quota del proprio stipendio al Partito, che poi ne gira una parte alle sezioni regionali e locali. Niente di illecito o di sbagliato, e ci sono del resto parlamentari Dem che rivendicano con orgoglio di contribuire al sostentamento della macchina del partito governato da Matteo Renzi.

La storia della “tassa democratica”

Quella degli eletti iscritti al PD tenuti, in base ai regolamenti finanziari interni, a versare una percentuale dello stipendio al partito non è né una novità né un segreto. Non è nemmeno un unicum nel panorama italiano, i parlamentari leghisti sono tenuti a versare il 40% della propria indennità al partito. Nel PDL viene richiesta una quota fissa una tantum. È un fatto meno noto invece che anche gli amministratori nominati dal Partito Democratico siano obbligati a versare un contributo in percentuale del compenso lordo percepito. Ovvero non solo Senatori, Depuati, Assessori e Consiglieri Regionali, Sindaci, Presidenti di Provincia, Assessori Comunali o Provinciali, Consiglieri Comunali o Provinciali, Consiglieri di Circoscrizione devono versare al partito parte dello stipendio. Sono tenuti a farlo anche  coloro che vengono designati (nominati) dal PD all’interno di enti e organizzazioni di vario livello in qualità di consiglieri di amministratori, consiglieri di indirizzo, revisori dei conti o altro. Questo vale per le società per azioni a partecipazione pubblica, i consorzi, aziende pubbliche e così via.


Nel regolamento nazionale non se ne parla, ma nei vari regolamenti finanziari regionali e provinciali la questione viene descritta nel dettaglio. Ne ha parlato il 30 agosto Franco Bechis su Libero e oggi Marco Palombi e Carlo Tecce sono tornati sull’argomento sul Fatto Quotidiano. Ad esempio se si va a leggere il regolamento finanziario del PD del Friuli-Venezia Giulia è possibile scoprire che i nominati nei Cda delle partecipate dove governa il PD sono tenuti a versare una percentuale dell’indennità lorda pari al 10%. Le entrate poi vengono regolarmente messe a bilancio.

Altrove, come ad esempio nel regolamento del PD toscano non se ne trova traccia. Ma basta andare a leggere il regolamento finanziario del PD di Siena «il capitolo contributi comprende le sottoscrizioni a cui sono tenuti gli iscritti, eletti e designati presso enti, aziende e società pubbliche o private, come disciplinato dal presente regolamento, sulla base delle indennità percepite, dei gettoni di presenza nonché sui trattamenti di fine mandato e simili».

A Siena l’ammontare di questi contributi può arrivare fino al 30% del lordo percepito. Mediamente la “tassa” oscilla intorno al 10%, il minimo si registra in Veneto (6%) e a Mantova (8%).

Quanto costa la tassa della Lega?

Secondo Bechis il problema del PD è che da un lato sostiene di nominare manager e amministratori in base ai curricula mentre in realtà valuta la disponibilità dei nominati a versare il “contributo obbligatorio” nelle casse del Partito. Insomma il PD più che la competenza tenderebbe a prediligere amministratori che si impegnino ad essere “riconoscenti” nei confronti di chi li mette al loro posto delle partecipate. Verrebbe così premiata la lealtà al Partito più che la capacità di amministrare la cosa pubblica. Ma Bechis finge di dimenticare che la fedeltà alle scelte del partito cui sei “debitore” è una delle caratteristiche fondamentali delle nomine da parte dei partiti, nessuno escluso. Questa la si cerca e la si ottiene con o senza “tassa democratica”.


E probabilmente è meglio esplicitare, per motivi di trasparenza, la richiesta di contributi che fare come è emerso fa un partito come la Lega Nord. Durante un servizio di Report del maggio 2017 Mauro Borelli, Direttore Generale ASST Franciacorta ammetteva candidamente di versare ogni anni 6 mila euro nelle casse del partito di Matteo Salvini. A Siena il Fatto registra il versamento da 7.640 euro nelle casse del PD da parte di Fabrizio Vigni, presidente della municipalizzata Siena Ambiente. Senza contare che successivamente alla nomina Borelli diede l’incarico di realizzare la rete Intranet a Luca Morisi, spin doctor del Capitano della Lega. Questo però curiosamente Bechis non lo dice. Forse sono meglio le regole non scritte?

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