La scalata di Del Vecchio a Mediobanca: il declino di un paese dietro una mossa da Trono di Spade

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-06-02

Se non lui oggi, sarà qualcun altro domani. L’arroccamento del management può solo rinviare il problema. Ma è Del Vecchio l’azionista giusto in grado di dare la svolta strategica a Mediobanca?

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Il governo italiano non pare intenzionato a utilizzare il golden power contro l’ascesa di Leonardo Del Vecchio in Mediobanca tramite la cassaforte lussemburghese Delfin. Ma, spiega oggi Andrea Greco su Repubblica, al Tesoro, dov’è iniziata l’analisi degli scenari, c’è qualche preoccupazione sulla tenuta, anche futura, dell’effettiva “italianità” della storica filiera del capitalismo italiano, che comprende le Assicurazioni Generali. E le pressioni in chiave nazionalista presenti tra i M5s, e già espresse da Leu e da Lega e Fdi nell’opposizione, indurranno il governo, non appena si passerà dagli annunci agli acquisti, a reclamare forme di garanzia sul destino tricolore dei due gruppi e sulla qualità dei loro manager.

La questione si pone dopo la notifica alla vigilanza Bce della richiesta dell’imprenditore milanese di salire dal 9 fino al 20% nella storica banca d’affari, già scrigno del capitalismo privato e tuttora del 13% delle Generali. E per una curiosa coincidenza, tale richiesta sarebbe stata inoltrata a Francoforte l’indomani del Consiglio dei ministri che giovedì aveva esaminato le nuove e più ampie misure per difendere da scalate sgradite i gruppi strategici. Nella riunione aveva parlato ai ministri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, sviluppando per un possibile schema di Dpcm dedicato gli articoli del Liquidità, che l’8 aprile raccolse l’invito della Commissione europea in tema (e riscritto la legge 2012 sul golden share, in parte cassata dall’Europa). «Proteggere i beni e i settori strategici nazionali, non limitare investimenti stranieri e imprese», è uno degli slogan del governo a riguardo.

leonardo del vecchio mediobanca generali
L’azionariato di Mediobanca e Generale (La Repubblica, primo giugno 2020)

Intanto Alessandro Penati spiega che dietro uno scontro che sembra da Trono di Spade c’è tutto il declino di un paese:

Ma è Del Vecchio l’azionista giusto in grado di dare la svolta strategica a Mediobanca? Ne dubito. Non per il dato anagrafico: investitori leggendari come Carl Icahn e Warren Buffett hanno 85 e 90 anni, e sono ancora attivissimi. Ma hanno sempre e solo fatto gli investitori. Del Vecchio è un imprenditore di enorme successo, ma fare l’investitore attivista è un altro mestiere. Finora, della sua strategia non si sa nulla, contrariamente a quanto farebbe un investitore “attivo”, per raccogliere consensi sul mercato e creare valore. Del Vecchio è Presidente esecutivo di EssilorLuxottica, nel mezzo di una fusione a dir poco complessa e incompleta: segno che non è stato capace di trovare, o allevare, un manager a cui lasciare la guida e la crescita del gruppo.

Non certo un esempio di buona governance da portare in Mediobanca. Non esiste un modello ideale di governance; e quello attuale, che permette di fatto al management in carica di autoperpetuarsi, non deve essere difeso a priori. Ma per valutare bisognerebbe conoscere l’alternativa. Non sapendo cosa Del Vecchio abbia in mente, diventa naturale pensare che voglia arrivare al controllo di fatto di Generali minimizzando il costo: il 20% di Mediobanca costa meno della metà del 13% di Generali che ha in portafoglio; che aggiunto al suo 5% darebbe a Del Vecchio la maggioranza relativa. Non scevra di conflitti però, visto i suoi interessi, e degli altri soci italiani, nel settore immobiliare. Sarebbe un’operazione dal sapore stantio del capitalismo italiano d’antan.

Leggi anche: Perché Del Vecchio vuole salire al 20% di Mediobanca

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