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La casa di Cécile Kyenge imbrattata dai razzisti (ma il vicino si autoaccusa)

neXtQuotidiano 16/04/2018

Le pareti del cortile della sua casa di Modena imbrattate di sterco. I precedenti e le vittorie nelle cause per diffamazione

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La settimana scorsa c’è stato un raid razzista in casa di Cécile Kyenge: le pareti del cortile della sua casa di Modena sono state imbrattate di sterco. Lei ha raccontato l’accaduto in un’intervista rilasciata alla Stampa:

Cosa è successo venerdi notte?
«Lo sterco nel cortile l’aveva scoperto mio marito la mattina, io ero a Bruxelles, sono tornata a notte fonda. Il giorno dopo, quando mi ha visto intenta a pulire il numero civico macchiato da non capivo cosa mi ha spiegato che non era solo il numero, mi ha mostrato il resto. Così è dura: un conto è combattere un nemico che vedi, altra cosa è questa assenza piena di odio».

Non è la prima volta per lei. Ci racconta come vive?
«Va avanti cosi dal 2013, ho venti casi in tribunale che seguo di persona, come parte civile, con un avvocato pagato da me. Sono solo la punta dell’iceberg, ho portato davanti ai giudici solo le persone con una responsabilità nelle istituzioni o nei partiti politici, ho una causa con Forza Nuova e poi con la Lega. Il resto sono minacce come quella di venerdì, messaggi intimidatori ma anonimi».

Negli anni la Kyenge, prima nominata ministro per l’integrazione nel governo Letta e poi diventata europarlamentare, è finita spesso oggetto di insulti razzisti e diffamazioni, comprese le bufale messe in giro dai giornali. L’europarlamentare della Lega Mario Borghezio è stato condannato a pagarle 50mila euro di danni in una causa per diffamazione.

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Lei ha raccontato al quotidiano cosa le è accaduto in questi anni:

«Una volta, vicino Rimini, mio nipote vide dei manifesti che proponevano di impiccarmi, erano firmati Forza Nuova, dicevano di volermi “svarechinare”, farmi diventare bianca. Un’altra volta a Prato dovevo ritirare un premio, mentre ero sul palco mi hanno fatto uscire di corsa perché due con la maglietta della Lega volevano saltarmi addosso. Inutile parlare poi di Facebook o Twitter”.

È iniziata nel 2013, dice. Come?
«Da allora giro con la scorta. Sul principio erano pupazzi insanguinati e barattoli di vernice rossa che trovavo fuori agli hotel dove alloggiavo per lavoro. Pensavo fosse un momento, invece è diventata una valanga.

Perché? Se lo sarà chiesto.
«Sono diventata un simbolo. Positivo per gli stranieri che arrivano in Italia, negativo per chi non lo tollera. Sono nera, donna e ho studiato: colpe rispetto ai tabù. All’inizio mi chiedevano se fossi afro-americana… Eppure io sono stata felice di andare al governo, mi sembrava il coronamento di un percorso normale».

Intanto però il Resto del Carlino raccoglie la testimonianza del presunto autore dell’imbrattamento, il quale sostiene di aver fatto tutto perché «suo marito non raccoglie mai le deiezioni del loro cane di grossa taglia e all’ennesimo episodio non ci ho visto più dalla rabbia, ho rimosso le feci e le ho gettate nel giardino». L’uomo, residente a Gaggio di Castelfranco, dice che la querelle risale a due settimane fa: «Ho visto che non aveva raccolto nuovamente gli escrementi, l’ho richiamato e lui si è giustificato dicendo che non se n’era accorto. Non gli ho creduto ribadendogli che bisogna essere più civili». Ma giovedì scorso la storia si ripete e la rabbia del residente raggiunge livelli incontrollabili. «Camminavo sulla ciclabile, ero distratto e sono finito col piede dritto sui bisogni voluminosi del cane. Poco più avanti c’erano altre sue ‘tracce’ e, come sempre, nulla era stato pulito. Ammetto che mi si è chiusa la vena, ho raccolto tutto e ho gettato l’escremento nel loro giardino sporcando anche il muro. Non è stato un bel gesto, lo so, ma non avete idea quante volte ci siamo ritrovati nelle medesime condizioni di disagio».

Leggi sull’argomento: Il raid razzista in casa di Cécyle Kyenge

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