La campagna acquisti di Salvini nel M5S

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-12-21

Altri parlamentari pronti ad andare nella Lega tra gennaio e febbraio. Il caso dei mancati rendiconti e delle quote di Rousseau non versate. E un ministro in bilico

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Ci sono altri parlamentari pronti al grande saldo dopo il trio Lucidi-Grassi-Urraro. A tutti Matteo Salvini apre le  porte dei gruppi della Lega in Parlamento e il MoVimento 5 Stelle rischia così di svuotarsi rispetto alla grande pattuglia di eletti portata alla Camera e al Senato nel marzo 2018. Un anno e mezzo dopo la crisi di voti dei grillini sta portando allo sfascio il M5S. E i rischi di una diaspora si fanno sempre più grandi nei prossimi mesi, quando verranno al pettine alcuni nodi della maggioranza e dell’opposizione

La campagna acquisti di Salvini nel M5S

Per questo, spiega oggi il Corriere della Sera, a Palazzo Madama sono sotto osservazione anche i tre senatori che hanno firmato per il referendum sul taglio dei parlamentari, materia identitaria del Movimento: sono Mario Giarrusso, Luigi Di Marzio e Gianni Marilotti.

Il primo è apertamente in rotta con Di Maio e ora mette anche in dubbio il voto contro Salvini sull’autorizzazione:  «Prima di decidere voglio leggere le carte». Di Marzio è un senatore campano che a lungo è rimasto incerto ed è stato ripreso per i capelli dal ministro Federico D’Incà, impedendogli (almeno per ora) il passaggio al Misto.

Ci sono poi due deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, che non hanno intenzione di votare la manovra. E che hanno detto apertamente di essere in dubbio sul rimanere nel Movimento. Del resto fanno parte del fantomatico gruppo di venti deputati, che sarebbe pronto a costituirsi in un gruppo Misto, per sostenere il governo Conte, e in particolare il premier, dall’esterno del Movimento. Deputati tutti o quasi eletti nei collegi uninominali e quindi più autonomi rispetto ai 5 Stelle.

giarrusso manette

Intanto nei confronti di Gianluigi Bombatomica Paragone è stato aperto un procedimento presso i probiviri, lo stesso che l’anno scorso portò all’espulsione di Gregorio De Falco dal M5S a Capodanno, quando l’opinione pubblica era dedita alla preparazione del cenone. Paragone doveva essere cacciato, insieme al senatore abbraccia-alberi Lello Ciampolillo, già a settembre quando non aveva votato la fiducia al governo Conte Bis, “espressione del M5S”. Di Maio, a dimostrazione che anche nel M5S le regole con alcuni si applicano e con altri si interpretano, non lo ha fatto all’epoca e adesso si ritrova con un problema esplosivo all’interno del gruppo.

Il caso dei rimborsi e delle quote di Rousseau mancanti

C’è poi un altro caso che agita i sonni del M5S. Quello dei rimborsi e delle quote di Rousseau mancanti. Qui la situazione è raccontata dal Messaggero in un articolo a firma di Simone Canettieri:

I vertici del Movimento stanno per far partire una mail che avvisa i parlamentari di «mettersi in regola» con le restituzioni (almeno 2.000 euro al mese) e con il contributo a Rousseau di Davide Casaleggio (300 euro al mese) entro – «e non oltre» – il 31 dicembre. Pena: sanzioni disciplinari fino all’espulsione. Secondo le stime in possesso dei tesorieri di Camera e Senato, 1 su 3 tra gli eletti non è del tutto in regola.

Ma, andando sul sito www.tirendiconto.it, si scopre che dal 2019 a oggi ci sono sette senatori che non avrebbero versato nemmeno un euro: Vittoria Bogo Deledda (da mesi fuori per problemi personali), Cristiano Anastasi (ingegnere di Giarre, nel Catanese), Lello Ciampolillo (da Bari), il medico napoletano Luigi Di Marzio (che ha già pubblicamente minacciato di andarsene), Fabio Di Micco (da Caserta) e i siciliani Michele Giarrusso e Pietro Lorefice. Secondo il meccanismo messo in moto da Di Maio e Casaleggio, se questi sette non si precipiteranno al bancomat si aprirà contro di loro una sanzione disciplinare che li spingerebbe fuori dal Movimento e anche in tribunale con la minaccia di pignoramenti.

m5s salvini

Anche in questo caso la situazione rischia di esplodere sia al Senato che alla Camera, dove tra chi non ha rendicontato c’è anche il ministro Lorenzo Fioramonti, dato dai vertici M5S «dimissionario dopo la manovra». Una decisione che ancora non è stata ufficializzata ma che nasce – almeno stando alle ricostruzioni – dai 3 miliardi che non sono stati stanziati per la scuola e l’università.

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