Attualità
Jair Bolsonaro tra Jânio Quadros e Carlos Lacerda: l’anacronismo come cifra politica
Francesco Guerra 04/01/2019
Il viaggio nell’anacronismo di questa presidenza è appena all’inizio se l’uomo medio brasiliano, bianco, mediamente benestante, profondamente razzista e maschilista, può finalmente specchiarsi in un Presidente che non è migliore di lui, ma come lui
Nella giornata del primo di gennaio Jair Bolsonaro è ufficialmente diventato il trentottesimo Presidente del Brasile. Un insediamento connotato da misure di sicurezza al limite del paranoico e che ben poco hanno a che fare con uno Stato democratico, ma, tutto al contrario, fanno ripiombare il Brasile nei bui ricordi di quella dittatura militare da sempre esaltata dal nuovo presidente. Un insediamento, che, sotto il profilo della più recente continuità storica interna alla storia brasiliana, può essere considerato come il capitolo conclusivo di un golpe bianco cominciato con la “caccia al petista” della operazione Lava Jato nel 2014, ad opera dell’ex-giudice e attuale Ministro della Giustizia Sérgio Moro, passato per il decisivo e surreale impeachment dell’ex-presidente (anch’essa appartenente al Partido dos Trabalhadores) Dilma Rousseff, per l’altrettanta surreale condanna dell’ex-presidente (e futuro candidato alla presidenza per lo stesso Partido dos Trabalhadores) Lula e culminato, non senza l’indiretta responsabilità delle varie anime della sinistra brasiliana (in particolare il PT di Lula e il Partido Democrático Trabalhista di Ciro Gomes), nell’elezione a presidente di Jair Bolsonaro.
Jair Bolsonaro tra Jânio Quadros e Carlos Lacerda: l’anacronismo come cifra politica
Un quadro complesso, dunque, quello entro il quale collocare la figura del nuovo presidente, il quale, ampliando il compasso della continuità storica, sempre interna alla storia brasiliana, può essere considerato uno strano incrocio tra la sprovvedutezza mista a ipocrisia di un Jânio Quadros e l’ottusa cattiveria politica di un Carlos Lacerda. Il primo fu Presidente del Brasile dal 31 gennaio 1961 al 25 di agosto dello stesso anno e, come Bolsonaro, aveva costruito il proprio programma politico sulla lotta alla corruzione (“varre, varre, varre, varre vassourinha”, recitava un suo famoso slogan), salvo poi scoprirsi, dopo la sua morte, che aveva lasciato ai suoi eredi sessantasei immobili e venti milioni depositati in un conto segreto in Svizzera, secondo quanto scoperto dalla Polizia Federale nel corso dell’operazione Castello di sabbia. Insomma, la lotta alla corruzione come specchietto per le allodole al fine di farsi eleggere, nelle varie tornate elettorali, sino a raggiungere la presidenza; del tutto simile, in questo, alla strategia portata avanti in questi mesi da Bolsonaro. Carlos Lacerda, giornalista e politico da sempre vicino agli ambienti più conservatori e retrogradi della società brasiliana, fu tra coloro che, a partire dall’ultimo governo Vargas (31 gennaio 1951-24 agosto 1954, data del suo suicidio), contribuì attivamente a creare le basi, sociali e politiche, per la futura soluzione militare, nel 1964, salvo poi essere lui stesso cassato, in termini politici, una volta che i militari giunsero al potere. Proprio un personaggio, a tratti realmente miserabile, come Lacerda aiuta a comprendere come la storia brasiliana segua sempre, al netto delle necessarie sfumature imposte dalle contingenze storiche, sempre lo stesso registro: notizie false riguardanti la corruzione di un politico scomodo, creazione di Commissioni di inchiesta volte a creare le condizioni pratiche per il mar de lama che dovrà travolgere il Presidente o il politico di turno, tentativi di impeachment reiterati al fine di allontanare un Presidente democraticamente eletto dal proprio incarico e un sistema dell’informazione da sempre prono agli interessi di élites, prima di tutto giudiziarie ed economiche, aventi di mira la sudditanza del Brasile a interessi esterni e il conseguente mantenimento di condizioni sociali degne di un Paese del terzo o del quarto mondo.
Il dramma nel dramma, tuttavia, come anche ha osservato il giurista Afrânio Jardim in una sua recente intervista, è che il popolo brasiliano è in massima parte un popolo ignorante, nel senso che ignora totalmente la propria storia e le dinamiche che si muovono all’interno di essa. Come spiegare, altrimenti, l’impeachment di Dilma Rousseff, lungamente preparato, e del tutto simile ai tentativi di messa in stato d’accusa sofferti da Vargas tra il 1952 e il 1954, anno del suo suicidio, un gesto che ritardò il golpe militare di dieci anni? All’epoca vi era la Tribuna de Imprensa di Carlos Lacerda a disseminare notizie false, laddove oggi questo lavoro è stato svolto dalla Globo e, più ancora, forse, da Edir Macedo e dalla sua Record TV (Grupo Record), punto di raccordo e di commistione tra le posizioni evangelico-neopentecostali e quelle più reazionarie, spina dorsale dell’elettorato bolsonarista. Come se non bastasse, Bolsonaro ha ripreso l’ammuffito stilema, anch’esso figlio dell’era Vargas e successivamente usato contro il governo, democraticamente eletto, di João Goulart riguardante una presunta minaccia rossa (sindacalista, comunista o socialista che sia) sul Brasile. Non a caso, in un recentissimo tweet, è tornato sulla necessità di neutralizzare i professori marxisti all’interno di scuole e università al fine di non creare militanti politici, ma cittadini. Di nuovo, balugina in questo pensiero la paranoia di certo conservatorismo brasiliano con riferimento ad una presunta colonizzazione marxista, che sarebbe presente in scuole e università, a seguito dei governi, di coalizione, di Lula, prima, e di Dilma Rousseff, poi. Qui, parimenti, sta quanto rilevo essere il punto archimedeo dell’attuale governo Bolsonaro: il totale anacronismo. Siamo, infatti, in presenza di un vocabolario politico e di soluzioni programmatiche, che sembrano uscite direttamente da un museo della guerra fredda. I governi del PT, in particolare quelli di Dilma Rousseff, si sono caratterizzati per indirizzi politici ed economici, che potremmo, al massimo, definire nei termini di una classica economia sociale di mercato, qualcosa di maggiormente assimilabile alle posizioni di un Röpke piuttosto che a Marx o a Lenin. Non è un caso, del resto, che, proprio durante i governi petisti, gli istituti di credito abbiano registrato utili senza precedenti alla luce di un maggior ricorso ai prestiti, frutto dell’inclusione sociale di ampie porzioni della popolazione brasiliana prima escluse nel tentativo di creare quella middle class da sempre assente in Brasile. Più ancora, se vi è una critica da muovere ai governi di centro-sinistra brasiliani è quella di avere creato consumatori e non cittadini, altrimenti detto, di avere compiuto il succitato processo di inclusione sociale quasi esclusivamente per via consumistica e non abbastanza per via culturale, creando così un elettorato dai piedi di argilla, che non ha saputo resistere ai vari bombardamenti mass-mediatici a cui è stato sottoposto e che, da ultimo, ha voltato le spalle a quelle forze politiche, che nel corso degli anni gli avevano permesso un sostanziale miglioramento delle proprie condizioni di vita.
L’anacronismo, però, non è soltanto in questa battaglia a un pericolo mai realmente esistito in Brasile (lo spettro di uno Stato socialista o di dittatura comunista in stile cubano), ma anche negli indirizzi di politica economica e in quelli di politica estera. Il futuro Ministro dell’Economia, Paulo Guedes, si definisce un fermo sostenitore della Scuola di Chicago. Tuttavia, rispolverare i Chicago Boys nel 2018 sembra non solo un tentativo fuori tempo massimo, ma anche un espediente per mascherare alcuni interessi specificamente legati alle privatizzazioni che Guedes vorrebbe mettere in pratica. Sarà, forse, un caso che il neo-Ministro dell’Economia vuole privatizzare, rispettivamente, nell’area della salute e in quella dell’educazione, avendo lui stesso cospicui interessi economici in queste due aree? Sia chiaro, chi scrive non è pregiudizialmente contro simili posizioni, tuttavia, giova sempre ricordare cosa le privatizzazioni abbiano rappresentato in Brasile, ogni qual volta le si sia poste in atto, a partire dalla cosiddetta Privataria tucana: un vero e proprio saccheggio di beni pubblici privatizzati, a prezzo di banana (come si dice qui), di fatto regalati agli amici e agli amici degli amici. L’anacronismo non viene meno in politica estera, se guardiamo ai primi movimenti compiuti dal governo Bolsonaro in direzione degli Stati Uniti di Trump e verso Israele. Dopo avere dichiarato urbi et orbi in campagna elettorale il Brasile essere acima de tudo (nonché Deus acima de todos, ma questo è un altro problema di cui magari parleremo in un successivo articolo), la realtà è che Bolsonaro si sta, ogni giorno di più, appiattendo ai voleri dell’amministrazione Trump, senza che siano chiari i vantaggi che un tale appiattimento dovrebbe arrecare al Brasile e alla sua popolazione. Anacronismo anch’esso, come detto, dal momento che sembra ricalcare il leitmotiv proprio dei governi militari tra il ’64 e la fine della dittatura, quando gli interessi brasiliani erano fatti coincidere con il potente vicino settentrionale, il quale, in cambio di soldi e armamenti, si vedeva garantito dal non diventare, il gigante sudamericano, una nuova Cuba (pure questa era una paranoia, tutta made in USA, nata con Kennedy alla presidenza e Lincoln Gordon ambasciatore in Brasile), oltre ovviamente a vedere garantiti gli interessi imprenditoriali nordamericani in Brasile. Anche a questo riguardo, ricompare lo scenario da ‘guerra fredda in assenza della guerra fredda’, zoccolo duro della narrativa bolsonarista, che stride con un presente entro il quale i nuovi processi di globalizzazione e i vecchi e nuovi attori sulla scena mondiale richiederebbero un Brasile dalla politica estera flessibile, del tutto pragmatica e per nulla ideologica, sia con riferimento alle grandi potenze mondiali, sia in riferimento alla tutela degli interessi economici brasiliani e più in generale sudamericani.
Il viaggio nell’anacronismo di questa presidenza, sospesa tra la sprovvedutezza di un Jânio Quadros e il cattivismo della peggiore destra brasiliana di un Carlos Lacerda, è appena all’inizio e se l’uomo medio brasiliano, bianco, mediamente benestante, profondamente razzista e maschilista può finalmente specchiarsi in un Presidente che non è migliore di lui, ma come lui, possiamo altrettanto affermare che una buona parte della popolazione brasiliana, dai movimenti sociali sino a coloro che hanno beneficiato delle politiche di inclusione sociale svolte in questi anni dai tanto vituperati governi petisti, farà tutto ciò che è in suo potere affinché le lancette della storia non siano riposizionate all’indietro, sui periodi più bui della storia brasiliana, all’insegna di un passato che sembra davvero non voglia passare.
foto di copertina via instagram