Economia
L'IVA funesta e il «tesoretto» di Renzi
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-04-19
Padoan insiste sull’aumento dell’imposta su beni come carne e pesce. L’ex premier inventa un “tesoretto” che è inutilizzabile per qualsiasi politica economica da parte del governo Gentiloni. E soffia sul fuoco delle elezioni anticipate. Che però consegnerebbero il paese ai suoi avversari
La partita dell’IVA è ancora aperta. Il piano del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che prevede uno scambio tra il taglio del cuneo fiscale e l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto continua a trovare l’opposizione dei renziani nel Partito Democratico ma pare anche l’unica soluzione affinché il governo Gentiloni porti a casa almeno un risultato che dia un senso alla permanenza dell’esecutivo. Padoan ha spiegato nell’ormai famosa intervista al Messaggero di domenica scorsa che un aumento almeno parziale dell’IVA sarebbe tecnicamente utile a sostenere la «svalutazione interna», aiutando cioè le imprese che esportano (l’Iva non colpisce l’export) e raccogliendo risorse per sgravare le tasse sul lavoro.
L’IVA funesta e il «tesoretto» di Renzi
Lo spostamento del prelievo dal lavoro ai consumi è tra l’altro una raccomandazione della Commissione europea e dell’OCSE. La tesi è che quello che i consumatori perdono per l’aumento dei prezzi lo recuperano col taglio delle tasse. Questo però è vero soltanto per chi è lavoratore ed usufruirà del taglio promesso dal governo. Chi è disoccupato, chi non lavora, chi è pensionato invece verrà colpito dalla tassa generalizzata sul consumo. Il Corriere della Sera inoltre pubblica oggi una tabella riepilogativa di beni e servizi che sarebbero soggetti all’aumento (ad esempio carne e pesce…) che non può non spaventare la politica. Francesco Verderami sul quotidiano racconta di un asse tra Padoan e il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda e parla dell’«IVA funesta che potrebbe arrecare lutti alla legislatura», raccontando degli scontri in Consiglio dei Ministri con i ministri Boschi e Martina. E degli strani modi di concepire l’economia da parte di Matteo Renzi, che parla nella sua E-News di un “tesoretto” lasciato al governo Gentiloni:
Nel Pd c’è chi teme che Padoan si prepari così a tornare all’assalto per un’altra tranche di privatizzazioni (Poste comprese), magari anche con la riforma del catasto. Per evitare un patatrac, il capogruppo di Ap Lupi invita il ministro a prendere un’altra strada: «Privatizzazioni a parte, per ridurre il cuneo fiscale potrebbe intanto recuperare 10 miliardi usando gli 80 euro di bonus, che spesso i lavoratori devono restituire dopo averli presi. In questo modo non solo se ne gioverebbero ma gliene tornerebbero in tasca 130».
Ma l’Iva no. «L’Iva non aumenterà», dice Renzi: «Anche perché il mio governo ha lasciato un tesoretto». A Padoan viene da sorridere: «Tesoretto… Così lo chiama il mio giovane ex capo». L’Iva funesta potrebbe arrecare lutti alla legislatura, se Berlusconi si accordasse a staccarle la spina. Siccome non lo farà, qualcun altro si farà male.
In realtà non c’è nessun tesoretto: nell’ultima legge di stabilità al comma 140 viene creato un Fondo per gli investimenti da 47 miliardi, spalmati però da quest’anno al 2032. Sono 16 anni, cioè in media meno di 3 miliardi di euro l’anno. Ma si tratta, appunto, di investimenti che proprio per questo non avrebbe senso tagliare e che comunque non servirebbero ad alimentare alcun taglio del cuneo fiscale.
Al voto! Al voto!
Quando è grande la confusione sotto il cielo, però, la situazione è eccellente. Per lo meno per chi si rende conto che questo giochino dello stop & go non fa altro che favorire la caduta del governo Gentiloni e le elezioni anticipate. Mentre Confindustria rimane l’unica voce ad appoggiare Padoan sulla questione dell’IVA l’immobilismo dell’esecutivo che nasce dai veti incrociati all’interno della maggioranza e del Partito Democratico stesso non può che ringalluzzire i fans delle urne. Tra i primi c’è Renzi, che attende il trionfo alle primarie del Partito Democratico per giocarsi una mossa alla Theresa May: con la differenza che mentre la premier ha il vento in poppa dei sondaggi e la grande debolezza del Labour come appoggio, per Renzi il percorso delle elezioni sarebbe in salita, con una remuntada di quelle che farebbe paura al Barcellona.
Scrive oggi Goffredo De Marchis su Repubblica che tutto dipenderà dal risultato finale delle primarie:
Se Renzi non ne esce trionfatore, se l’affluenza risulta troppo bassa, è molto più intricata la strada che porta alle elezioni anticipate. Tanto più senza la legge elettorale, che rimane l’aut aut del presidente della Repubblica. Gentiloni e gli altri consigliano all’ex segretario prudenza. Gli spiegano che ci vuole tempo per ricreare una connessione con il Paese e sono sicuri che il fenomeno 5stelle può logorarsi più del Pd con un voto il prossimo anno. Fassino per esempio ha letto con attenzione il programma di politica estera dei grillini e ne ha tratto il giudizio di un’inadeguatezza a governare l’Italia.
Ma i voti dei 5stelle si prendono sulla politica estera? Certo che no, pensa Renzi. E i sondaggi su Grillo sono destinati a non cambiare da qui al 2018. Per questo, vale la pena spingere sull’acceleratore e trovare la forza di votare in autunno. Del resto, il quadro per il governo Gentiloni è destinato a farsi più delicato. Intorno alla legge di bilancio, che cade alla vigilia di elezioni, si moltiplicano veti e appetiti. Mdp che ieri è stato a Palazzo Chigi con i capigruppo Laforgia e Guerra chiede 1 miliardo per la povertà.
Ecco a voi la politica del kamikaze.
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