I dirigenti della sanità lombarda e le “stronzate” sugli ospedali di Bergamo

di Mario Neri

Pubblicato il 2020-03-25

Il Wall Street Journal ha dedicato il 17 marzo scorso un articolo firmato da Marcus Walker e Mark Maremont sul collasso degli ospedali italiani a causa dell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 e all’interno riporta un botta e risposta tra i dirigenti della sanità lombarda e Angelo Giupponi, dottore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo. Quando Bergamo …

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Il Wall Street Journal ha dedicato il 17 marzo scorso un articolo firmato da Marcus Walker e Mark Maremont sul collasso degli ospedali italiani a causa dell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 e all’interno riporta un botta e risposta tra i dirigenti della sanità lombarda e Angelo Giupponi, dottore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo.

Quando Bergamo ha scoperto un’epidemia di casi di coronavirus nella sua periferia intorno al 22 febbraio, il dottor Giupponi dell’ospedale Papa Giovanni ha inviato un’e-mail alle autorità sanitarie regionali della Lombardia. Li ha esortati a svuotare alcuni ospedali e usarli esclusivamente per i casi di Coronavirus. All’epoca i dirigenti regionali stavano affrontando un focolaio a sud di Milano (quello di Codogno, ndr). “Non dormiamo da tre giorni e non vogliamo leggere le tue stronzate”, è stata la risposta.

 

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Da allora, il lockdown dell’Italia ha trasformato Bergamo in una città fantasma. Gli avvisi di morte nel quotidiano locale, l’Eco di Bergamo, occupano normalmente poco più di una pagina. Lunedì hanno riempito nove pagine. “E sono solo quelli che finiscono sul giornale”, ha detto il dottor Nacoti.

Giupponi è uno dei 13 medici che hanno inviato un appello pubblicato dalla rivista Catalyst del gruppo New England Journal of Medicine spiegando che la strategia dell’ospedalizzazione attuata nella prima regione di Italia ha prodotto la “catastrofe” e suggerendo che si cambi completamente prospettiva, arginando il contagio negli ospedali, capendo che non si tratta di una crisi di terapia intensiva, ma di una crisi logistica e di salute pubblica, soprattutto mettendo a punto un piano.

Il nostro ospedale – scrivono nel loro j’accuse, un tentativo disperato di aprirci gli occhi che dovrebbe essere letto da ogni cittadino italiano e in primis dai responsabili istituzionali – è “altamente contaminato e siamo ben oltre il punto di non ritorno: 300 letti su 900 sono occupati da pazienti Covid-19”. Raccontano di tempi di attesa di ore, di pazienti anziani che “non vengono rianimati e muoiono da soli senza adeguate cure palliative, mentre la famiglia viene informata telefonicamente, spesso da un medico ben intenzionato, esausto ed emotivamente esaurito senza alcun contatto precedente”.

Ma allargano lo sguardo fuori dall’epicentro, vedono gli altri ospedali dei centri più piccoli che si avvicinano “al collasso”, e spiegano che quello che succede nell’ospedale all’avanguardia di Bergamo è solo il primo girone di un inferno collettivo: la situazione nell’area circostante è secondo loro persino peggiore, mentre il focolaio è “fuori controllo” e i sanitari sono diventati vettori del contagio, le comunità sono “abbandonate” e l’emergenza Covid-19 ha messo in crisi o bloccato gli altri tipi di assistenza anche le semplici vaccinazioni e esasperato le situazioni di disagio sociale. Detto in altre parole e molto chiaramente: questa non è come è stata spesso descritta una crisi della terapia intensiva, ma “una crisi di salute pubblica e umanitaria”. E per questo bisogna muoversi esattamente nella direzione opposta di quella intrapresa finora.

Il team dei medici del Papa Giovanni XXIII definisce il Covid-19 l’Ebola dei ricchi e spiega che l’epidemia ha messo in luce come «i sistemi sanitari occidentali siano stati costruiti attorno al concetto di cura centrata sul paziente mentre un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un sistema di cura incentrato sulla comunità». Quello che stiamo imparando dolorosamente, aggiungono è che «abbiamo bisogno di esperti di salute pubblica e di epidemiologia, ma questo non è stato il centro d’interesse di chi prende le decisioni a livello nazionale, regionale e ospedaliero».

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