Come far cadere un governo a duemila anni di distanza

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2019-01-16

La Grecia è uno dei pochi paesi dove un evento politico può avere ripercussioni dopo circa duemila anni, in maniera diretta e circostanziata. Lunedì, infatti, il ministro della difesa Panos Kammenos ha rassegnato ieri le sue dimissioni e annunciato l’uscita dalla maggioranza di governo. Tutto a causa di Alessandro Magno

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La Grecia è un paese straordinario. Nel senso comune e in quello strettamente etimologico del termine: cioè splendido e paradossale a un tempo. Uno dei pochi dove un evento politico può avere ripercussioni dopo circa duemila anni, in maniera diretta e circostanziata. Lunedì, infatti, il ministro della difesa Panos Kammenos ha rassegnato ieri le sue dimissioni e annunciato l’uscita dalla maggioranza di governo. Tutto a causa di Alessandro Magno.

Come far cadere un governo a duemila anni di distanza

Riavvolgiamo la matassa degli eventi. Dopo quasi quattro anni di trincea, il governo Tsipras è riuscito -pur con molte ammaccature- a passare il capo tempestoso dell’era dei memoranda. Anche con costi politici importanti (compresa una scissione e più di un rimpasto) ; ma tenendo insieme la sua esigua maggioranza parlamentare ad ogni passaggio. La ragione principale di questo successo è stata la battaglia per rimettere in discussione le politiche economiche mainstream, un moto che ha dissolto il consenso sulle politiche di austerità e per la prima volta ha riaperto la partita in Europa. La Grecia ha certo dovuto accettare più di un compromesso, ma è un fatto che la disoccupazione è tornata a scendere (passando da oltre il 26% al 19% attuale; sempre altissima ma in diminuzione costante); il PIL è ritornato in zona positiva (stimato al 2,2% per il 2018, esattamente il doppio dell’Italia); la Grecia è riuscita a mantenere anche il gravoso impegno di un avanzo primario del 3,5% (lo ha anche superato – si stima per il 2018 al 4%), punto fondamentale dell’accordo con i creditori per mettere termine al programma di ‘assistenza’, inaugurato nel 2010. Tsipras è infine pervenuto a negoziare un riscadenzamento significativo del debito pubblico (stabilizzato al 178-180%), che non equivale ad una riduzione nominale, ma permette più ampi margini di manovra ad Atene per i prossimi anni.

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Evoluzione del tasso di disoccupazione in Grecia, 2015-2018

 

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Tasso di variazione del PIL in Grecia, 2016-2018

Una delle leve di questo difficile percorso è stata l’alleanza “contro natura” di Syriza (coalizione di diversi partiti di sinistra radicale) con i Greci Indipendenti (ANEL), piccola scissione da Nuova Democrazia, tradizionale partito di destra conservatrice, e fedele esecutore di politiche neoliberiste. Il capo dei Greci Indipendenti, Panos Kammenos, ha sempre sostenuto il corpus di valori di destra tradizionali (rispetto della primazia della Chiesa Ortodossa; sovranismo; un forte patriottismo). Ha tuttavia appoggiato in maniera convinta le politiche del governo Tsipras in materia economica, non esitando ad espellere dal partito deputati ‘renitenti’, e guadagnandosi la fama di destra sinceramente legato alla difesa degli interessi del Paese. C’è da dire che ANEL non ha appoggiato Syriza anche sulle unioni civili e l’adozione per le coppie omosessuali, mostrando di non essere ideologicamente condizionata. Questa alleanza ha certamente contribuito a far percepire ad una parte dell’elettorato il governo Syriza-ANEL come un esecutivo di salute pubblica, e a permettere un consenso vasto nell’opinione pubblica. Insomma, la solidarietà tra i Greci Indipendenti e Syriza ha retto a prove molto aspre, ma si è infranta su una questione all’apparenza marginale, se non assurda: il nome di una ex repubblica yugoslava. Per capire cosa sia successo bisogna fare (molti) passi indietro. E ritornare all’antichità. Nel nord della Grecia esisteva una regione abitata dal popolo macedone. Secondo Erodoto, [le popolazioni doriche] avevano compiuto numerosi spostamenti; […] Cacciati dalla Estiotide ad opera dei Cadmei si erano stanziati nel Pindo con il nome di Macedoni (Storie I, 56 – trad. Novelli). Nonostante vaste discussioni storiche sulla ‘grecità’ dei macedoni, quello che conta è come gli antichi li considerassero. Dalle varie testimonianze letterarie potremmo riassumere: dei ‘cugini di campagna’, rimasti un po’ provinciali e arretrati, ma pur sempre, ovviamente, greci.

 

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Carta della Grecia antica (Sheperd)

Il prestigio della Macedonia venne consacrato da Filippo II (382-336 a.C.), ed in seguito da Alessandro Magno (356-323 a.C.), che conquistò l’Asia fino all’India, assicurando alla cultura greca una diffusione profonda e duratura. E la figura di Alessandro assunse -e conserva- un’aura mitica ed un prestigio insuperati. Dopo complesse vicende, con numerosi ‘passaggi di mano’ e conflitti (impero bizantino, ottomano, Bulgaria), alla fine della II guerra mondiale la regione storica della Macedonia antica è divisa fra una parte greca, la più consistente; una yugoslava; una bulgara (poco estesa). La situazione rimane stabile fino al 1991.

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Gennaio 1913 -Lo Zar di Bulgaria conquista la Macedonia (fortezza di Kavàlla)
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Agosto 1913 -il Re di Grecia conquista la Macedonia
(fortezza di Kavàlla)

In particolare, la più meridionale delle regioni in cui è divisa la Yugoslavia porta dal 1946 il nome di Macedonia, più che altro per motivi estetico-retorici, perché i suoi abitanti parlano una lingua slava. Questo fatto non solleva nessuna obiezione da parte della Grecia, la cui divisione amministrativa più settentrionale porta, naturalmente, il nome storico di Macedonia (Μακεδονία).

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L’ex Repubblica Yugoslava di Macedonia (FYROM)
e le tre “periférie” che costituiscono la Macedonia greca

Le cose si complicano allo sfaldamento della Yugoslavia, perché l’antica regione Macedonia proclama la sua indipendenza, innalzando il nome antico come quello di un paese indipendente, e scegliendo per bandiera il simbolo della dinastia di Filippo (la “Stella di Vergina”). La Grecia decide di impedire (facendo mancare l’unanimità in tutti i consessi internazionali cui partecipa, Nazioni Unite in particolare) il ricorso al nome Macedonia; si perviene quindi ad una soluzione provvisoria, con l’adozione del nome ufficiale FYROM (“Former Yugoslavian Republic Of Macedonia”). La situazione resta congelata a lungo, perché la Grecia oppone il diritto di veto all’ingresso del paese balcanico nell’Unione Europea e nel Patto Atlantico, fino a che non sia abbandonata esplicitamente qualsiasi rivendicazione sul nome, sui simboli, su una qualunque evocazione dell’eredità antica. Dopo vari infruttuosi tentativi, Tsipras ha riaperto le discussioni con Skopje nel corso del 2017-2018, approfittando della presenza di un primo ministro non nazionalista (il socialdemocratico Zoran Zaev), ed è riuscito a trovare i termini di un accordo, sottoscritto presso il lago di Prespa il 17 giugno 2018. Il testo prevede di riconoscere il nome “Macedonia Settentrionale”, e l’esplicita rinuncia a qualsiasi rivendicazione dell’eredità antica. In questo senso, qualche giorno prima della firma viene cambiato il nome dell’aeroporto di Skopje (intitolato ad Alessandro Magno). La cui statua troneggiava fino a poco tempo fa nella piazza principale della capitale, pudicamente intitolata “L’uomo a cavallo”.

 

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L’insegna “Alessandro Magno” rimossa dall’aeroporto di Skopje
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La statua del re Macedone smontata dal piedistallo (marzo 2018)

In seguito, il testo avrebbe dovuto essere approvato dai due paesi. A Skopje, previo un referendum consultivo; ad Atene, tramite un voto parlamentare. I vicini settentrionali della Grecia completano l’iter, anche se con più di un inghippo: il presidente della Repubblica, Gjorge Ivanov, rifiuta di promulgare l’accordo; il referendum non riesce a raccogliere il quorum del 50%+1 (pur se con ampia maggioranza del ‘si’); si arriva quasi alla crisi di governo. Ma grazie ad alcuni transfughi dell’opposizione, si raggiunge la necessaria maggioranza dei due terzi. In Grecia la situazione è almeno altrettanto complicata: un forte movimento nazionalista si coagula attorno al ‘tradimento’ dei ‘comunisti’, che hanno ‘svenduto la patria’ allo straniero (numerose manifestazioni si svolgono ad Atene e Salonicco). La situazione si fa tesa in particolare tra Tsipras e Kammènos, ministro della difesa, che manifesta apertamente la sua opposizione all’accordo, pur promettendo di “non far cadere” il governo. Già in ottobre del resto, il ministro degli esteri Nìkos Kotziàs – autore dell’accordo- aveva rassegnato le dimissioni in contrasto con Kamménos. Ed infine è proprio quest’ultimo ad aver annunciato, lunedì scorso, di lasciare l’incarico, proprio alla vigilia del voto sull’accordo. Sul quale Tsipras ha posto la questione di fiducia. Si arriva così, oggi, alla rottura fra Syriza e il suo alleato chiave, che ha permesso di tenere per quattro anni in piedi una stretta maggioranza. In questo senso, un governo rischia di cadere duemila anni dopo la causa del contendere (cosa che ci darà ironicamente conferma, almeno, della persistente vitalità dei classici). Come andrà a finire? Rifacendo i calcoli, la situazione è oggi incerta. Il parlamento greco è composto da 300 seggi. Sono necessari a Tsipras dunque 151 voti per mantenere in piedi il suo governo. Fino alla settimana scorsa, la maggioranza era composta dai 145 deputati di Syriza e dai 9 di ANEL (per un totale di 154). Il partito sovranista passa ora all’opposizione. Quattro deputati di ANEL hanno però annunciato o lasciato trapelare l’intenzione di votare a favore dell’accordo, venendo dunque prontamente espulsi dal partito. Si arriva così a 149. Una deputata indipendente (ex di Nuova Democrazia), e sottosegretario nel governo Tsipras, ha annunciato che voterà la fiducia (ma non i successivi passaggi legislativi per ratificare l’accordo): 150. Un ultimo voto, infine, dovrebbe giungere da Spyros Danellis, del movimento Potami (“il fiume”, centrista-liberale), favorevole all’accordo di Prespa. Il voto è previsto per mercoledì sera.

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Composizione attuale del Parlamento greco (15 gennaio 2019)

Insomma, tutto pare possibile: compreso lo scenario paradossale della fiducia a Tsipras, ma non l’approvazione dell’accordo sulla Macedonia. Se il governo non dovesse ottenere la fiducia, le elezioni anticipate sarebbero inevitabili; una delle date probabili sarebbe quella delle prossime europee, il 26 maggio. Ma se Syriza dovesse riuscire a doppiare anche questo capo (come tutti i precedenti, e malgrado gli scetticismi generali), avrebbe uno spazio di manovra di otto mesi -fino alla scadenza naturale della legislatura- per prendere misure economiche socialmente progressive. E permettere al suo elettorato di riconoscerlo come difensore degli interessi del mondo del lavoro. Chi avrebbe giurato sulla longevità di Tsipras? Sta di fatto che mentre Renzi, Hollande, Valls, Rajoy, Cameron sono spariti dai radar, e nel momento in cui la Gran Bretagna sprofonda nella burrasca di un Brexit senza controllo, Tsipras è ancora al suo posto. Il Portogallo di Costa difende lo stato sociale, e favorisce la domanda, l’economia lusitana riparte energicamente; lo stesso fa la Spagna, aumentando il salario minimo del 22%. La sinistra che ritrova il senno, riesce a inflettere la rotta della storia.

Aggiornamento ore 21:41 (22:41 ora di Atene): Il voto -per chiamata nominale- si è appena concluso al Parlamento di Atene. Tsipras ottiene la fiducia con 151 voti a favore, 148 contrari, 1 assente. Kammenos, come annunciato ha votato no; i suoi quattro deputati scissionisti a favore. A questi si sono aggiunti l’indipendente Papakosta (sottosegretario) e il deputato di Potami Danellis.

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