Giovanni Tria e i viceministri ancora senza deleghe

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-09-14

Il ministro dell’Economia non molla le deleghe a Castelli e Garavaglia. Intanto i grillini vogliono fare la guerra ai funzionari del Tesoro

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Forse sono un tesssoro troppo prezioso per darle in giro, forse il problema è che proprio non si fida: in ogni caso Giovanni Tria ieri non ha portato nel consiglio dei ministri il provvedimento che serviva a dare le deleghe a Laura Castelli e Massimo Garavaglia, i due viceministri che la maggioranza gialloverde gli ha appioppato ma che non sembrano a lui graditissimi. E c’è da dire che Tria è in qualche modo ricompensato con la stessa moneta, visto che Annalisa Cuzzocrea su Repubblica racconta come i grillini si siano messi a fare la guerra con i funzionari del Tesoro:

A trapelare in queste ore — dopo una serie infinita di vertici tra ministero dello Sviluppo economico e Palazzo Chigi — è che il partito di Luigi Di Maio è pronto a colpire con un repulisti che va ben al di là del semplice spoils system gli uffici di via XX settembre. I collaboratori del ministro dell’Economia Giovanni Tria sono nel mirino da tempo.

Dal primo braccio di ferro sul decreto dignità, quando scoppiò il giallo della tabella Istat sui posti di lavoro a rischio. Adesso, sulla manovra, il clima si è fatto ancora più aspro. «Vogliamo credere nella buona fede di Tria — dice un esponente di governo, dopo che contro il ministro è stata fatta filtrare ogni sorta di irritazione — ma abbiamo l’impressione che nelsuo dicastero ci siano persone che vogliono fregarci. Dirigenti che non vogliono che questo esecutivo vada avanti. E che lui protegge. Dall’anno prossimo decideremo chi può restare e chi no».

massimo garavaglia lega

Il complottismo non è materia nuova in casa M5S. Così, la serie di «no, non si può fare» che i ministri si sentono dire quando cercano risorse per la manovra che vorrebbero suona alle loro orecchie come una sorta di inerzia del sistema da abbattere a tutti i costi. La richiesta di 10 miliardi di euro per far partire il reddito di cittadinanza almeno nel secondo semestre del 2019 è considerata dal presidente del Consiglio Conte e dal capo politico Di Maio come più che accettabile.

Addirittura cauta. «Renzi i 10 miliardi per gli 80 euro li ha trovati in poche settimane», si è infuriato il vicepremier in una delle riunioni con chi tratta per lui ai tavoli tecnici del ministero. «Perché mai a noi non li concedono? Non è accettabile».

Leggi sull’argomento: Niente reddito di cittadinanza il primo gennaio 2019

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