La censura di Google a Gayburg

di dipocheparole

Pubblicato il 2019-02-14

Ci risiamo. Dopo quella del gennaio 2016 Google censura di nuovo Gayburg, uno dei siti più attivi nella difesa dei diritti civili delle persone omosessuali. «I contenuti non potranno più essere condivisi sui social network e non saranno più indicizzati dai motori di ricerca: potranno essere letti solo se se ne conosce l’esatto url. In …

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Ci risiamo. Dopo quella del gennaio 2016 Google censura di nuovo Gayburg, uno dei siti più attivi nella difesa dei diritti civili delle persone omosessuali. «I contenuti non potranno più essere condivisi sui social network e non saranno più indicizzati dai motori di ricerca: potranno essere letti solo se se ne conosce l’esatto url. In pratica, l’intero sito è stato censurato», dicono i gestori nel post ospitato dalla piattaforma Blogger.

Google decide di censurare Gayburg perché “alcuni lettori hanno contattato Google perché ritengono che i contenuti di questo blog siano discutibili”, come recita la formula misteriosa che accoglie chiunque cerchi di entrare sul sito per leggere i suoi contenuti. Il content warning è valido anche per chi cerca di aggregare i contenuti sui social network e questo, come è facile immaginare, rende praticamente impossibile la diffusione dei post.

censura google gayburg

Gayburg infatti è ospite della piattaforma di blogging Blogspot (ora Blogger) che è di proprietà della società di Menlo Park. Pertanto Gayburg, come tutti i siti ospitati dal Blogger è tenuto a rispettare le regole stabilite da Google in seguito alle segnalazioni ha deciso di limitare la visibilità del sito. Non apparirà quindi su Google News, ai visitatori verrà mostrato un disclaimer nel quale li si avvisa che i contenuti del sito “sono discutibili” e così via.

Il problema, come spesso accade, è che ai gestori non è stato notificato quali siano i contenuti che a parere di Google non rispettano questi standard. Come accade (in altre maniere e con altre modalità) per Facebook. La volta scorsa il warning rientrò dopo 15 giorni senza particolari spiegazioni e magari anche questa volta sarà così. Magari le decisioni di Google sono in un certo senso “automatiche” e poi successivamente vengono riviste da esseri umani dotati di logica, che capiscono che gli omofobi non dovrebbero permettersi di censurare alcunché. Rimane che il don’t be evil a cui Google decide di ispirarsi così assume ottimi contorni di ridicolo.

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