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Emanuela Orlandi, l’ultima pista all’ombra dell’angelo del cimitero teutonico

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-04-10

Cosa c’è dietro l’indagine interna aperta in Vaticano sul caso Emanuela Orlandi: dalla lettera anonima con la foto di una tomba e il messaggio “Cercate dove indica l’angelo” alle rogatorie non andate a buon fine

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“Al momento non ho comunicazioni al riguardo. Mi riservo di darle se ce ne saranno”: il portavoce del Vaticano Alessandro Gisotti è molto meno netto di Pietro Orlandi e della sua avvocata Laura Sgrò sull’indagine che Oltretevere sarebbe stata aperta riguardo Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana sparita nel nulla a Roma nel pomeriggio del 22 giugno 1983 a 15 anni in Corso Rinascimento vicino a piazza Navona.

Emanuela Orlandi, l’ultima pista

Il fratello Pietro ha fatto sapere oggi di aver incontrato nei mesi scorsi il segretario di Stato, Pietro Parolin, e ha detto di essere felice che dopo 35 anni di mancata collaborazione la Santa Sede abbia deciso di aprire un’inchiesta. Sul tavolo del promotore di giustizia del Tribunale vaticano, Gian Piero Milano, ci sono la storia della tomba nel cimitero teutonico, ma anche altro: “Tra le istanze – spiega Pietro Orlandi – quelle legate alle incongruenze sulla vicenda, alle rogatorie non andate a buon fine, e poi la possibilità di sentire alcuni cardinali, la richiesta di sentire Giancarlo Capaldo, il magistrato che ha indagato sulla scomparsa di Emanuela, che nel 2012, dopo essere stato contattato dal Vaticano, si recò ad incontrare un autorevole prelato per una sorta di ‘trattativa’ sul caso.

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Prima di tutto, la tomba. Il legale della famiglia Orlandi, la scorsa estate, ricevette una lettera anonima con la foto di una tomba e il messaggio “Cercate dove indica l’angelo”. Nel cimitero teutonico vi è il sepolcro dedicato alla principessa Sofia e al principe Gustavo von Hohenlohe che nel 1857 fu nominato arcivescovo da Papa Pio IX. Sovrasta la lastra funeraria la statua di un angelo (dalla datazione diversa rispetto alla tomba) che tiene in mano un foglio con la scritta in latino “Requiescat in pace”. L’avvocato Sgrò ha raccontato di aver constatato come quotidianamente su quella lapide vengano deposti fiori e accesi lumini: “Possibile che una tomba del 1857 sia oggi meta di devozione?”.

Le indagini su Emanuela 

La pista però non è nuova. Come ha scritto Blitz Quotidiano, il cimitero teutonico era stato indicato nella segnalazione inviata in procura da Antonio Goglia, ex carabiniere che aveva delineato una suggestiva “pista brasiliana”, senza alcun riscontro da parte dei giudici. Inutile sottolineare che se fosse questa la pista giusta, ciò escluderebbe le centinaia di altre “indagini”, spesso soltanto mediatiche, che in questi anni hanno portato a incastonare la scomparsa della ragazza all’interno dei più grandi misteri d’Italia, ma che sono state definitivamente archiviate ormai quasi quattro anni fa dopo le indagini della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone.

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Cimitero teutonico in Vaticano: foto da Google Maps

Pignatone all’epoca ebbe una divergenza di opinioni (eufemismo) con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che «non condividendo alcuni aspetti della richiesta di archiviazione ha richiesto la revoca dell’assegnazione del procedimento, che è stata disposta anch’essa in data odierna», si scriveva nella richiesta di archiviazione. Dove si demoliva anche l’ultimo “teste-verità” emerso negli anni, ovvero quel Marco Fassoni Accetti che aveva portato un flauto d’epoca asserendo che fosse quello di Emanuela Orlandi: il procuratore di Roma nel 2015 decise di procedere, sì, ma non per rapimento: per calunnia e autocalunnia. Ma se Capaldo è cittadino italiano, in virtù di quale autorità il Vaticano può approfondire la sua posizione?

Le rogatorie e il Vaticano

La vicenda delle rogatorie in Vaticano è anch’essa stranota. Negli anni in molti raccontarono delle richieste di interrogare cardinali e prelati in relazione al mistero della scomparsa e molto viene detto nella sentenza del giudice istruttore Adele Rando dove si racconta della mancata collaborazione delle autorità vaticane alle indagini dei magistrati italiani. Agli atti dell’epoca (come ha raccontato Tiscali News) c’è anche la telefonata di Raul Bonarelli, gendarme della Guardia Vaticana, con Camillo Cibin, ispettore del corpo della Gendarmeria, che risale all’ottobre 1993.

Cibin: Ho parlato con Sua Eccellenza Bertani… E dice… per testimone, e dici quello che sai… che sai della Orlandi? Niente! Noi non sappiamo niente!… Sappiamo dai giornali, dalle notizie che sono state portate fuori! Del fatto che è venuto fuori di competenza… è… dell’Ordine Italiano.
Bonarelli: Ah, così devo dire?
C.: Ebbè, eh… che ne sappiamo noi? Se te dici: io non ho mai indagato… l’Ufficio ha indagato all’interno… questa è una cosa che è andata poi… non dirlo che è andata alla segreteria di Stato.
B.: No… no, noi io all’interno non devo dire niente.
C.: Niente.
B.: Devo dire, io all’interno non devo dire niente, all’esterno è stata…
C.: All’esterno però, quando è stata la magistratura vaticana… se ne interessa la magistratura vaticana… tra di loro, questo qua… niente dici, quello che sai te, niente!
B.: Cioè, se mi dicono però se sono dipendente vaticano, che mansioni svolgo, non lo so, mi dovranno identificare, lo sapranno chi sono.
C.: Eh, sapranno, perché che fai, fai servizio e turni e sicurezza della Città del Vaticano, tutto qua?
B.: Eh… Va bene, allora domani mattina vado a fare questa testimonianza, poi vengo, vero?
C.: Poi vieni, sì, sì.
B.: Va bene.

Ma a 36 anni dalla scomparsa – e dalla probabile morte – di Emanuela Orlandi e dopo la fine dell’inchiesta-bufala del 2015 pare difficile parlare di svolta per l’inchiesta del Vaticano. Che nei secoli dei secoli è stato capace di nascondere benissimo i suoi segreti. Sempre che di segreti ce ne siano ancora.

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