Elezioni in Spagna, déjà vu o accordo?

di Armando Michel Patacchiola

Pubblicato il 2019-09-23

Secondo quasi tutti i sondaggi degli ultimi mesi, la 14esima legislatura potrebbe restituire un Parlamento molto frammentato, con una situazione molto simile a quella dell’ultima tornata. In queste ore in Spagna molti analisti si stanno sfidando nel pronosticare chi guadagnerà e chi invece perderà consensi.

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Se c’è un’immagine che più di tutte può dare il giusto impulso nell’intricato mosaico che sta vivendo la vita politica spagnola è quella dipinta ne “El Abrazo”, l’opera del pittore valenciano Juan Genoves dipinta nel 1976 e da più di tre anni esposta nella sala constitucional del Congreso de los Diputados. Un gruppo di donne e di uomini che si abbracciano, quasi tutti raffigurati di spalle e in scala di marroni su tela bianca, che negli anni è diventato simbolo della Transición democratica. Un periodo a margine dei 41 anni del regime franchista, uno dei più longevi d’Europa, che va dalla seconda metà degli anni Settanta e che è contraddistinto da una tenue, timida e sempre più graduale democrazia, rotto da numerosi episodi di violenza e inasprito dalle condizioni di miseria vissute. Nel suo significato profondo l’opera “El Abrazo” simboleggia l’unità e il dialogo nella corsa verso la democrazia. L’opera, per usare le parole dell’artista rilasciate a El Mundo, rappresenta la «lotta per il cambiamento, […] per accompagnare quel cambiamento» di cui la giovane democrazia rappresentativa spagnola ancora oggi mostra le sue crepe. Come dimostra, da qualche anno a questa parte, la progressiva frammentazione dell’elettorato spagnolo, acuita nell’ultimo decennio dalla crisi economica mondiale, dal malcontento sociale e da una rappresentanza a tratti poco legalitaria. Segnata e fiaccata da eclatanti processi di corruzione (casi Gürtel e Bárcenas) e dai rinnovati desideri di secessione dallo Stato centrale della Catalogna. Il Paese si trova da febbraio ostaggio delle trame dei partiti e dei loro imprevidenti leader, che sono stati incapaci o semplicemente poco inclini a trovare la giusta alchimia democratica, mancando un accordo tra di loro in più di una circostanza, anche durante l’approvazione della legge Finanziaria (Los Presupuestos). Un po’ come successe durante la Transición, quando il Presidente del Governo filo-franchista Carlos Arias Navarro fu costretto alle dimissioni dal nuovo capo dello Stato, Re Juan Carlos I, a pochi mesi dalla morte del Caudillo, perché incapace di mettere in pratica le riforme imposte dalle nuove condizioni politiche e sociali, e quindi di confrontarsi con la fine dell’era del dittatore Francisco Franco.

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Spagna, bipartitismo imperfetto in crisi

In base a quanto sancito dall’articolo 99 della Costituzione, lunedì 23 settembre il Re di Spagna Felipe VI ha sciolto le camere delle Corti Generali, il Parlamento spagnolo, avviando il Paese per la quarta volta negli ultimi quatto anni verso nuove elezioni, due delle quali, quest’anno, in appena 196 giorni. Le elezioni si terranno domenica 10 novembre, praticamente sette mesi dopo quelle dello scorso aprile, ed è la seconda volta nella storia recente della Spagna che un’elezione generale viene ripetuta. La prima volta è stata tra il 20 dicembre 2015 e il 26 giugno 2016, voluta dall’allora premier Mariano Rajoy (PP) dopo appena 189 giorni, vista la difficoltà nel siglare un accordo con gli altri partiti, anche a causa dei numerosi problemi giudiziari. Descrivendo quanto accaduto in questi anni El Pais, uno dei più autorevoli quotidiani spagnoli, ha parlato di un «caso inedito in Europa, che segna il fallimento di un’intera generazione di politici». Sin dopo la Transición la Spagna ha rappresentato un esempio di stabilità democratica, come dimostrano i soli sette Presidenti del Governo che si sono succeduti dal 1979 ad oggi: due dei quali sono stati centristi (Ucd), tre socialisti (Psoe) e due Popolari (PP). Il più longevo della storia spagnola è stato Felipe González (Psoe), che ha governato il Paese per 13 anni e 5 mesi, portandolo definitivamente fuori dalla Transición. Da alcuni anni però il Paese è precipitato in una crisi politica, acuita da un sistema politico, il bipartitismo imperfetto, che prima dell’avvento di Ciudadanos (C’s) e Unidos Podemos (UP) è sempre stato ritenuto affidabile e democratico, nonostante abbia garantito al vincitore delle elezioni una maggioranza assoluta solo in quattro circostanze (1982, 1986, 2000 e 2011). Solo in altre quattro circostanze prima del 2015 (le altre quattro sono trascurabili) il sistema politico spagnolo ha subito alla chiusa anticipata della legislatura. Una di queste, nel 1996, la più brusca, ha portato alla mancata approvazione della Finanziaria e allo scioglimento del Parlamento al terzo anno, un anno prima della naturale scadenza del mandato, segnando l’addio alla Moncloa di Felipe González (Psoe) e all’arrivo di José María Aznar (PP). Per rendere plastica la consistenza di questa involuzione basta evidenziare che nel 2008, anno della crisi generata dai titoli subprime della Lehman Brothers, i due maggiori partiti spagnoli, il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) e il Partito Popolare (PP), raccoglievano complessivamente il consenso di 8 elettori su 10. Mentre dopo le consultazioni dello scorso 28 aprile, undici anni dopo, il loro placet si è praticamente dimezzato, scendendo al 46%, il dato più basso degli ultimi 30 anni.

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14esima legislatura, un Parlamento ancora frammentato?

Secondo quasi tutti i sondaggi degli ultimi mesi, la 14esima legislatura potrebbe restituire un Parlamento molto frammentato, con una situazione molto simile a quella dell’ultima tornata. Un recente sondaggio elaborato dall’istituto 40 dB per El Pais, ha mostrato un incremento dei consensi per i partiti tradizionali: più contenuto quello del Psoe, il principale partito di centrosinistra, che guadagnerebbe l’1.6 percento; più cospicuo invece quello del PP, il principale del centrodestra, che salirebbe di 6.8 punti percentuali. I dati demoscopici mostrano un lieve calo per i partiti post novecenteschi: -0.3 percento per la coalizione della sinistra oltranzista di Unidos Podemos (UP); -2.6 per i liberali filo europeisti di Ciudadanos (C’s), a cui si aggiungerebbe il calo di 1.7 punti percentuali del partito di estrema destra e machista di Vox, entrato per la prima volta in Parlamento ad aprile. Il Psoe, incolpato dalle opposizioni per la mancata investitura, passerebbe a 132 deputati (+9), lontano 44 seggi dalla maggioranza assoluta di 176 scranni. Il PP controllerebbe 94 parlamentari (+28), C’s scenderebbe a 34 (-23), UP a 38 (-4) e Vox a 18 (-6). Seguendo le stesse logiche dei mesi passati, i due blocchi rimarrebbero sostanzialmente invariati: il blocco di centrosinistra, compresi i partiti catalani e le altre formazioni dei partiti regionali, guadagnerebbe appena due parlamentari, passando da 197 a 199. Mentre il blocco di centrodestra ne perderebbe uno, passando da 149 a 148. Variazioni non molto significative, che considerando i numeri, non muterebbero l’impasse degli ultimi mesi. Come tiene a precisare El Pais, in questo periodo i sondaggi non sono sempre indicativi di quanto effettivamente avverrà. Lo scorso dicembre, per esempio, il blocco del centrodestra sommava praticamente il 50 percento dei consensi, ma poi ad aprile prese solo il 43 percento dei voti, ben sette punti percentuali in meno.

14esima legislatura, le opzioni del Psoe: un Governo con Ciudadanos

Uno dei fattori che potrebbe sbloccare l’impasse politica dopo il 10 novembre, secondo alcune stime, potrebbe essere España Suma, una coalizione pre-elettorale (non da erigere dopo le elezioni, quindi) di tutti i partiti di centrodestra (PP, C’s e Vox) caldeggiata dal leader del PP Pablo Casado ma osteggiata da Albert Rivera (C’s). Secondo le stime dei Popolari la coalizione potrebbe ottenere la maggioranza assoluta al Congreso de los Diputados, la camera bassa del Parlamento spagnolo. L’unica incaricata di dare la fiducia al Governo. Una vittoria che stando all’analisi de El Pais non si verificherebbe se i partiti di centrodestra partecipassero separatamente. Nelle ultime ore, però, Albert Rivera si è reso protagonista di una giravolta politica a favore di Sanchez, cui ha promesso, in extremis, un’astensione condizionata durante il secondo turno di trattative, facilitandone quindi l’investitura, a patto però che avesse rispettato alcuni punti programmatici durante il seguente mandato. Pur ringraziando, Sanchez ha però rifiutato. Spiegando la decisione ai compagni di partito Rivera l’ha definita come «una soluzione di Stato limitata nel tempo», fatta in modo tardivo perché era in attesa della definitiva rottura tra Podemos e Psoe. Alcuni analisti l’hanno collegata al fatto che l’elettorato di C’s sia tradizionalmente molto pragmatico, avulso allo stallo e al malfunzionamento dello Stato. Altri hanno interpretato la mossa di Rivera come una strategia volta ad arginare l’emorragia dei consensi che sta subendo C’s, un partito nato senza una particolare connotazione ideologica, ma che negli ultimi mesi ha spostato il suo baricentro sempre più verso il centrodestra, provocando il malumore di alcuni suoi sostenitori. Tra questi alcuni soci fondatori del partito, Francesc Carreras e Toni Roldan, che hanno lasciato il partito dopo aver rimproverato a Rivera di essere sceso a patti con l’estrema destra (Vox), snobbando oltremisura il Psoe. In queste ore il possibile cambio di rotta di C’s è stato giudicato poco probabile da Toni Roldan . Anche la maggior parte degli addetti ai lavori danno C’s nel blocco di centrodestra dopo le elezioni del prossimo 10 novembre, non ritenendo maturi i tempi per altre alleanze. Nonostante ciò, tra le possibili coalizioni di Governo future, deve essere tenuta in buona considerazione. Insieme Ciudadanos e Psoe sommerebbero 166 deputati, e che secondo le stime de El Pais raggiungerebbe la maggioranza assoluta grazie al sostegno di Coalición Canaria (CC), un partito costituzionalista avulso a Podemos (2 parlamentari). La coalizione rosso-arancio, già abbozzata inutilmente nel febbraio del 2016 in quello che fu definito il «Patto dell’abbraccio», sarebbe inoltre sostenuta dal Partito Nazionalista Basco (PNV), una formazione che in passato ha sostenuto Sanchez e che è considerato pluralista, umanista e democratico. Secondo le stime de El Pais il PNV, che al Parlamento Europeo è compagno di C’s nel gruppo Renew Europe, guadagnerebbe 7 seggi, incrementando di un parlamentare il risultato di aprile. Psoe e C’s, infine, sarebbero appoggiati dal Partito Regionalista di Cantabria (PRC), un fedele alleato di Sanchez, che anche nel prossimo emiciclo manterrebbe il suo unico deputato. Quest’ipotesi rappresenta anche lo scenario più stabile da un punto di vista politico per almeno quattro motivi: 1) la secessione catalana. Sia Psoe che Ciudadanos sono considerati partiti costituzionalisti e contrari alla secessione della Catalogna. Una loro alleanza renderebbe lo stato più forte davanti alle istanze secessioniste dei catalani e delle altre regioni autonome ribelli. 2) Ciudadanos, al contrario di Podemos, è ben vista dagli ambienti della Confindustria Spagnola (Ceoe) e la loro alleanza renderebbe i rapporti con il tessuto imprenditoriale più distesi, 3) L’alleanza tra C’s e Podemos nei giorni scorsi è stata caldeggiata anche dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, uno dei più influenti nel panorama europeo. La République En Marche!, il partito di Macron, fa parte come Ciudadanos del gruppo Renew Europe in seno al Parlamento Europeo 4) La loro coalizione sarebbe meno riottosa, e almeno in apparenza, sarebbe più stabile e gestibile da parte di Sanchez, che durante gli ultimi mesi ha cercato invano un Governo monocolore a sola guida Psoe.

Governo della Spagna, le opzioni: alleanza Psoe-Podemos

Molto problematica perché animata da forze storicamente rivali, sarebbe una grande coalizione con all’interno Psoe e PP. In queste ore su El Mundo Cayetana Álvarez de Toledo portavoce del PP al Congreso de los Diputados ha definito Sanchez come uno che «cerca il potere assoluto, un personaggio distruttivo e incapace di trovare un patto». Anche per questo, nonostante tutto, è ancora considerata quella centrale e quindi la più probabile, la riproposizione dell’alleanza tra Psoe-UP col sostegno dei partiti indipendentisti e quelli regionali. Un’opzione che secondo le stime de El Pais, supererebbe di gran lunga la maggioranza assoluta, ma che ha alle spalle un clamoroso insuccesso, visto che è già naufragata durante il primo governo Sanchez. Questa ipotesi non ha trovato la giusta amalgama nemmeno durante le successive trattative della scorsa estate, nella mancata investitura del leader socialista. Inoltre c’è da aggiungere che in questi mesi i rapporti tra Unidos Podemos e Psoe si sono notevolmente deteriorati. Dopo l’offerta di partecipare all’Esecutivo di coalizione (una vicepresidenza e tre ministeri) rifiutata dalla formazione morada durante l’investitura di Sanchez, il Psoe ha deciso di tirare dritto, rifiutando ogni altra offerta che non fosse quella di guidare un Governo monocolore. Sanchez ha rifiutato persino una «coalición a prueba», ossia un governo di coalizione in prova fino al voto dei Presupuestos, vero banco di prova di affidabilità per UP. Unidos Podemos ha inoltre rassicurato Sanchez sull’appoggio esterno al Psoe per l’intera legislatura, anche in caso di un successivo rimpasto senza UP. Una situazione ritenuta però troppo instabile da Sanchez. L’unica offerta nuova fatta dal leader del Psoe a UP è stata quella di un appoggio esterno, accompagnato dalla presenza in alcuni organi di controllo. Un’offerta che anche in questo caso è stata ritenuta insufficiente. Ad aggiungersi a queste difficoltà ci sono i cattivi rapporti tra Sanchez e Iglesias. Per il leader socialista, infatti, Iglesias è troppo sensibile alla causa dell’indipendentismo catalano, e anche per questo motivo, durante le trattative per la formazione del Governo di coalizione, è stato sacrificato ed estromesso dalla rosa dei possibili ministri. Persiste il problema legato all’appoggio dei partiti catalani (Erc e JxC) i cui voti sono collegati a quelli di baschi (EhBildu), e che rappresentano la fetta più grande dei parlamentari indipendentisti. Nei prossimi mesi è infatti prevista una nuova udienza del processo ai 12 leader catalani arrestati in occasione del referendum per l’indipendenza della catalogna del 2017. Lo scorso febbraio, lo ricordiamo, la Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) assieme a Uniti per la Catalogna (JxC) ed EhBildu sono passati all’opposizione, ponendo fine al primo governo Sanchez. L’occasione fu la votazione di un emendamento della manovra Finanziaria, la cui votazione (191 a 158, con un astenuto) ha fatto saltare l’approvazione dell’intera manovra economica per la seconda volta nella storia del Paese.

Elezioni Spagna del 10 novembre, c’è l’incognita Errejon

A rendere ancora più il complesso mosaico del centrosinistra spagnolo c’è la conferma avvenuta domenica 22 settembre dell’ingresso nella competizione elettorale di Mas Madrid. Non è chiaro se il partito di Íñigo Errejon, poco strutturato nei territori fuori Madrid, parteciperà in tutti i collegi del Paese o solo nei più numerosi e più strategici. Quel che è certo è che sicuramente la sua presenza frammenterà ulteriormente l’elettorato di centrosinistra, sottraendo voti a Podemos, al Psoe oltre che all’astensione. Errejon, uno dei fondatori di Podemos, è un giovane politologo che a lungo tempo è stato ritenuto il «suo autore intellettuale», come è stato definito da El Confidencial. Le divergenze tra Errejon, che da gennaio non fa più parte di Podemos, e Iglesias che è ci rimasto, sono emerse durante le elezioni per il rinnovo del Municipio di Madrid, dopo una lunga contesa su quello che doveva essere il futuro del partito. Iglesias voleva legare Podemos (come poi ha fatto dal 2016) a Izquierda Unidas (IU), la sinistra oltranzista e comunista. Mentre Errejon, che era portatore di idee politiche ed etiche differenti era contrario. Recentemente Iglesias ha dichiarato di attendersi il ritorno alla politica nazionale di Errejon, che attualmente è portavoce di Mas Madrid nell’assemblea regionale di Madrid, mostrandosi sicuro e aggiungendo che la cosa non lo interessi in particolar modo. Al contrario di quanto dichiarato da Sanchez in una recente intervista a La Sexta, che in lui vede un alleato migliore perché più disponibile di Iglesias a concedergli l’appoggio esterno senza poi pretendere una partecipazione nell’Esecutivo. Un po’ come avvenne nel 1977, quando Adolfo Suárez (UCD) ottenne da Santiago Carrillo, il segretario del Partico Comunista di Spagna (PCE) l’appoggio al suo Esecutivo, perché animato dal desiderio di allontanare i partiti di destra dalla Moncloa.

Elezioni Spagna, incognita astensione

Secondo un recente sondaggio dell’istituto demoscopico l’Ipsos sei elettori su 10 (il 60 percento) sarebbero scontenti della nuove elezioni, tanto che molti analisti hanno pronosticato un crollo dell’affluenza di quasi dieci percentuali rispetto ad aprile, quando il 71.8 percento degli spagnoli si recò alle urne. Molto più di quanto avvenuto in occasione della doppia chiamata tra dicembre 2015 e giugno del 2016, quando la partecipazione alle urne passò dal 73,2% al 69,8% dei votanti. Un calo dei votanti si potrebbe ripercuotere sulle percentuali dei partiti e sull’assegnazione dei seggi alle Corti Generali. In queste ore in Spagna molti analisti si stanno sfidando nel pronosticare chi guadagnerà e chi invece perderà consensi. Su Cadena Ser, una delle trasmissioni radiofoniche più seguite, l’esperto di psicologia politica Guillermo Fouce ha dichiarato che il 10 novembre: «ci sarà un record di astensione e disaffezione» vista la stanchezza che si percepisce tra la gente, e «che questo farà più male alla Sinistra che alla Destra, che gode di un voto più fedele e più consolidato». Su El Pais Antonio Asencio, direttore della comunicazione dell’istituto demoscopico Sigma Dos, ha però invitato tutti a essere cauti, visto che per esprimere giudizi validi è necessario verificare se la «disaffezione si concentrerà solo in alcuni partiti». Il calo di affluenza non omogeneo è considerata dagli addetti ai lavori una delle principali fonti di incertezza per il 10 novembre.

partecipazione al voto in spagna dal 1977 al 2019

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