Politica
I riflessi sul governo dei dissidi tra Conte e Di Maio sull’aumento della spesa militare
Massimiliano Cassano 26/03/2022
Nel Movimento 5 Stelle cresce il numero di parlamentari contrari all’aumento delle spese militari al 2% del Pil, ma la frangia governista del partito spinge affinché il Paese non si rimangi gli accordi presi con gli alleati della Nato
Il dato politico da registrare è, al momento, l’astensione: i deputati del Movimento 5 Stelle non hanno preso alcuna posizione quando alla Camera si è votato sulla risoluzione di L’Alternativa C’è – il gruppo di grillini fuoriusciti dopo che il partito aveva votato la fiducia al governo Draghi – in cui si chiedeva di impegnare il governo “a non incrementare le spese militari al 2% del Pil”. Il documento a prima firma Pino Cabras è stato rigettato in blocco dal resto della maggioranza, che ora torna ad interrogarsi sulla posizione del principale soggetto politico in Parlamento. La frattura è tutta nelle dichiarazioni dell’ex leader Luigi Di Maio, ora ministro degli Esteri e dalle posizioni sempre più “governiste”, e di quello attuale, Giuseppe Conte. “Con quale faccia – dice l’ex premier – con questo caro-bollette e caro-benzina diciamo ai cittadini che ora bisogna dedicarsi alle spese militari? Possiamo dirlo mentre in Sanità rimandiamo 1 milione di interventi e 20 milioni di esami diagnostici?”.
I riflessi sul governo dei dissidi tra Conte e Di Maio sull’aumento della spesa militare
“Posizione inaccettabile”, commenta Di Maio, che ormai vede il Movimento 5 Stelle come “una forza di governo che deve saper rispettare gli impegni, in linea con la sua collocazione”. Gli “impegni” ai quali fa riferimento sono gli accordi presi nel 2019 al vertice Nato di Londra, un documento sottoscritto da Conte in cui i Paesi membri dichiaravano di essere “determinati a condividere i costi e le responsabilità della nostra indivisibile sicurezza” attraverso il Defence Investment Pledge, che prevedeva un “aumento degli investimenti nella Difesa in linea con le linee guida del 2%”. Una linea tracciata già un anno prima, quando la ministra della Difesa del governo giallo-verde Elisabetta Trenta indicò la stessa quota chiedendo di inserire nella quota le spese “per la sicurezza cibernetica”. Ora il titolare del dicastero è Lorenzo Guerini, che fotografa così la situazione di stallo in un colloquio tra colleghi dell’esecutivo: “Rischia di minare l’affidabilità dell’Italia agli occhi degli alleati e farci apparire per quello che non siamo”, cioè un Paese che stenta ad uniformarsi alla comunità internazionale su posizioni anti-russe.