Il M5S sulla Tav non ha solo mentito, è proprio andato in confusione

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2019-07-25

Che la TAV (anzi il TAV, non vorremmo scatenare le ire di Travaglio) alla fine si sarebbe fatta era una cosa che si poteva dare per certa almeno da marzo, quando il governo fece finta di non decidere con il trucchetto dei bandi non vincolanti, ma decise, di fatto, di non fermare l’opera (c’erano in …

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Che la TAV (anzi il TAV, non vorremmo scatenare le ire di Travaglio) alla fine si sarebbe fatta era una cosa che si poteva dare per certa almeno da marzo, quando il governo fece finta di non decidere con il trucchetto dei bandi non vincolanti, ma decise, di fatto, di non fermare l’opera (c’erano in vista le elezioni europee e non si poteva dare la brutta notizia). Fu l’ennesimo rinvio di una resa alla realtà che alla fine puntualmente è arrivata. Quello che lascia attoniti è l’assoluta mancanza di una strategia comunicativa per preparare l’elettorato in questi mesi, non solo, quindi, hanno mentito ma sono andati completamente in confusione.

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Cominciamo da Giuseppe Conte. A marzo il presidente del Consiglio (dopo mesi di sonnolenza) si ricorda di essere tale e decide di prendere in mano il dossier pronunciandosi contro l’opera e annunciando interlocuzioni con le altre parti (ma senza fare nulla per arrestarla). Molti osservatori (miopi) avevano visto in quel gesto un’emancipazione di Conte che finalmente esprimeva la propria opinione in modo netto su un tema in cui gli alleati erano divisi. Sfortuna vuole che abbia dovuto cambiare idea macchiando quella sua eroica emancipazione. Con la diretta Facebook del 23 luglio, infatti, lo stesso presidente del consiglio annuncia che la TAV si farà, adducendo giustificazioni improbabili e chiaramente improvvisate. Nell’ordine:

1. Sarebbero intervenuti dei fatti nuovi che costringerebbero a dare l’assenso del governo all’opera. Il fatto più rilevante sarebbe che “la Francia si è espressa per la realizzazione di quest’opera” con una decisione dell’Assemblea nazionale dello scorso giugno (infatti era davvero imprevedibile che la Francia non cambiasse idea, chi lo avrebbe mai detto?).

2. Lo stop dell’opera comporterebbe la perdita dei finanziamenti europei (dove sarebbe la novità?).

3. La rottura dell’accordo comporterebbe altri costi (quei costi supplementari che hanno sempre negato?).

4. Ci saranno altre interlocuzioni con il presidente Macron per una diversa ripartizione dei costi (a proposito, se avete un video di Conte in cui non pronunci almeno tre volte il termine “interlocuzioni” segnalatemelo).

Ma la confusione di Conte è quasi perdonabile, non ha scelto lui la strategia di questi mesi e ovviamente ha concordato con Di Maio sia la sua “emancipazione” di marzo, sia la sua contro “emancipazione” del 23 luglio (non crederete mica che Conte abbia deciso autonomamente vero?). È Di Maio che invece ha gestito la questione come peggio non si poteva. Solo pochi mesi fa, infatti, quando sarebbe stato consigliabile cominciare ad essere più possibilisti per diluire la delusione, continuava a pronunciare frasi perentorie ed estremamente impegnative come: “Finché sarà al governo il M5S quel cantiere non inizierà a fare il buco”. Gli faceva eco l’allora fidato Di Battista: “Se la Lega intende andare avanti su un buco che costa 20 miliardi di euro e che non serve ai cittadini tornasse da Berlusconi e non rompesse i c… ”. Come hanno potuto fare Di Maio e l’intera dirigenza del M5S un errore così grave? La risposta credo sia semplice, essendo intelligenze tutt’altro che brillanti reiterano quei comportamenti che hanno portato a un successo in passato, convinti che le cose non cambieranno mai. Ecco che le balle si possono dire perché poi la gente si dimentica le cose, è il caso della spending review da 30 miliardi da approvare al primo consiglio dei ministri, del “non arretreremo di un millimetro” sul deficit, del miliardo alle famiglie che poi è sparito con l’aggiustamento di bilancio, o, ancora, dell’immediata abolizione dell’obbligo sui vaccini.

alessandro di battista

Inoltre c’è sempre la possibilità di fare qualcosa in piccola scala per rispettare formalmente la promessa, è il caso del reddito di cittadinanza che doveva impegnare 15-20 miliardi e che si è fatto, male, con un terzo della somma (vedi il mancato effetto positivo alle europee, la gente si era convinta davvero che ogni disoccupato avrebbe goduto di 780 euro al mese). Purtroppo per Di Maio quel buco o si fa o non si fa, non si può fare una galleria piccola piccola per farci passare i trenini giocattolo, né si può fare una galleria corta corta che finisca nel cuore della montagna e non sbuchi dalla parte opposta. Il suo impegno solenne non è di quelli che si può fingere di aver rispettato. Cerchiamo comunque di tirare le fila, avvicinandosi la scadenza improrogabile per una decisione, Di Maio il 13 luglio decide di preparare il terreno a Conte durante un incontro a Torino con attivisti e amministratori locali del movimento. Durante il discorso, parlando della TAV, afferma che “tornare indietro adesso richiede il triplo delle energie”. Evidentemente quando assicurava che con il M5S al governo l’opera non si sarebbe mai fatta erano necessarie molte meno energie per fermare tutto, poi è successo qualcosa che le ha moltiplicate (ma a quali energie si riferisce? La TAV non si ferma mica tirando una fune). Ad ogni modo la crescente ostilità della base, che non ha abboccato alla moltiplicazione di queste misteriose energie, deve averlo mandato nel panico. Di Maio decide quindi di tornare duro e puro con un post e una diretta su Facebook pubblicati rispettivamente il giorno stesso e il giorno dopo l’annuncio di Conte. I due contenuti sono abbastanza sovrapponibili e in pratica Di Maio afferma che:

1. Il M5S rimane contrario alla TAV (anche se la TAV si farà ma questo ancora non riesce ad ammetterlo).

2. Il M5S presenterà un atto in parlamento. Parla proprio di un atto senza specificare altro, la strategia è stata talmente improvvisata che non hanno fatto in tempo neanche a decidere che tipo di atto. Che cosa sarà mai? Una mozione, un ordine del giorno? Una legge? Un auspicio solenne? Sono mesi che riflettono sulla questione e non si sono neanche preparati una via d’uscita credibile. Semplicemente non si sono posti il problema prima.

3. Di Maio non è d’accordo con Conte sul fatto che fermare l’opera costerebbe più che farla (e Conte non è d’accordo a sua volta con quanto lui stesso affermava a marzo). Tuttavia il disaccordo su questo punto è comprensibile, Conte misura i costi per fermare l’opera in denaro, Di Maio li misura in energie non meglio specificate, sono proprio due unità di misura diverse.

Leggi sull’argomento: «Se si vota ora il M5S rischia il declino»

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