Cosa c’entra la Casaleggio con la bomba Pasquaretta-Appendino

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-02-12

Ieri i magistrati hanno ascoltato Dettori, ex dipendente della Casaleggio. Dopo un incontro con lui arrivò l’assunzione da parte di Castelli. Ma l’ex portavoce puntava a incontrare Di Maio. Una bomba a orologeria che qualcuno conosceva – secondo i pm anche a Roma

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Pietro Dettori, origini cagliaritane, una laurea in comunicazione all’università di Bologna, che dopo il lavoro alla Casaleggio Associati è passato con Rocco Casalino a Palazzo Chigi nello staff di Giuseppe Conte, è stato sentito ieri a Torino dai magistrati che indagano su Luca Pasquaretta e sul presunto ricatto alla sindaca Chiara Appendino.

La Casaleggio nell’affare Pasquaretta-Appendino

Al termine del colloquio l’ex Casaleggio è uscito senza parlare con i giornalisti, ma il pm Gianfranco Colace lo ha sentito ieri pomeriggio perché Dettori e Pasquaretta si sono incontrati a Roma a settembre e che quell’incontro maturò nella consapevolezza di alcuni uomini chiave del M5S che la bomba Pasquaretta sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro perché l’ex portavoce era arrabbiato, rivendicava incarichi e soldi e doveva essere “sistemato”. Infatti qualche tempo dopo Pasquaretta è diventato collaboratore (non dichiarato) di Laura Castelli per la bella somma di duemila euro al mese, che però non gli bastava. Continuò a cercare di incontrare il vicepremier Luigi Di Maio per parlargli direttamente, cominciò a dire agli amici che se avesse parlato sarebbe stato un problema. Una bomba a orologeria che qualcuno conosceva – secondo i pm anche a Roma.

Dettori, che è molto addentro da anni nelle cose dei 5 Stelle e ha un fratello (Marcello) che gestisce un sito, Silenzi & Falsità, di propaganda e bufale che si era distinto nella macchina del fango nei confronti di Gregorio De Falco,  è la punta dell’iceberg di un’indagine che diventa sempre più complessa e va sempre più nella direzione della sindaca.  Massimo Bray, ex presidente della Fondazione per il Libro ha spiegato, l’anno scorso, al pm che Pasquaretta non aveva mai lavorato per me. La stessa prima cittadina  difese in Consiglio Comunale, la correttezza della procedura che aveva portato alla consulenza al suo capo ufficio stampa sostenendo il contrario: «C’era la necessità che Luca Pasquaretta fornisse assistenza al presidente della Fondazione per il Libro, Massimo Bray. L’autorizzazione – disse Appendino – è arrivata dal responsabile dello staff di giunta che ha valutato che non ci fosse conflitto d’interesse tra l’attività di collaborazione con il Salone e il suo ruolo in Comune».

Pasquaretta e gli avvisi di garanzia presi al posto della sindaca

Pasquaretta ha restituito i soldi della consulenza perché questo favorirà in ogni caso la sua difesa: la legge  dice che chi si appropria solo temporaneamente della cosa (in questo caso soldi) ma poi la restituisce è punibile con una condanna da sei mesi a tre anni. Chi non lo fa rischia fino a 10 anni di carcere. Ma è stato lui stesso a dire di essersi preso gli avvisi di garanzia che dovevano arrivare ad Appendino all’assessore e amico Alberto Sacco.  E sotto la lente degli investigatori è finito il ruolo che la prima cittadina avrebbe avuto in quel frangente della lunga collaborazione tra i due.

La procura sta cercando di capire se Appendino abbia contribuito all’affidamento dell’incarico a Pasquaretta e se fosse consapevole della presunta natura fittizia. E se le accuse abbiano un senso o siano una boutade utilizzata per meglio perorare la causa dei suoi guadagni. Con un mistero che a questo punto rimane sotteso: se la consulenza per il Salone del Libro non l’ha chiesta Bray, se della consulenza la Appendino non sa nulla, ma allora chi è che ha deciso che il portavoce dovesse firmare quel contratto e guadagnare quei soldi?

Foto copertina da: Dagospia

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