L’INAIL e gli infortuni sul lavoro al tempo del COVID-19

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-05-16

L’Inail ha riconosciuto la “presunzione semplice” ai fini assicurativi. Significa che l’istituto pubblico concede subito la copertura a chi si è ammalato e lavora nel settore sanitario: si presume, insomma, che il virus sia stato contratto proprio sul luogo di lavoro. In tutti gli altri casi questo va dimostrato con la solita trafila d’indagine

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L’INAIL, l’istituto che assicura i lavoratori, riconosce il contagio da Covid-19 come “infortunio sul lavoro” (se viene dimostrato). Le denunce per aver contratto il Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 sul luogo di lavoro erano circa 38mila dall’inizio dell’epidemia al 4 maggio e, da allora, procedono al ritmo spannometrico di 300 al giorno, una decina delle quali mortali. Insomma, siamo oltre 40mila e la gran parte, quasi tre quarti,arrivano dal settore sanitario.

L’INAIL e gli infortuni sul lavoro al tempo del COVID-19

Per questo, spiega oggi Il Sole 24 Ore, la paura è che la malattia possa diventare una rivalsa o un processo penale, perché il contagio da coronavirus non è più considerato malattia bensì è sempre un incidente sul lavoro anche se l’azienda si è attenuta agli standard più rigorosi di igiene, anche se il dipendente si è contagiato nella vita privata.

È il cosiddetto “effetto Inail” nel quale l’istituto di assicurazione sulla sicurezza del lavoro è incolpevole intermediario. Ed è il rischio di una responsabilità civile o penale per l’impresa. Nei giorni scorsi la Confindustria e le imprese più grandi avevano protestato e avevano proposto un ritocco normativo. Non è responsabile l’azienda che può dimostrare di essersi attenuta alle norme sanitarie più severe.

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Ma, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, l’Inail ha riconosciuto la “presunzione semplice” ai fini assicurativi. Significa che l’istituto pubblico concede subito la copertura a chi si è ammalato e lavora nel settore sanitario: si presume, insomma, che il virus sia stato contratto proprio sul luogo di lavoro. In tutti gli altri casi questo va dimostrato con la solita trafila d’indagine. E infatti ieri k’Inail è dovuta intervenire con una nota per rassicurare i datori di lavoro impauriti di finire sotto processo se un loro dipendente si ammala di Covid. Per sgomberare il campo da equivoci, l’Istituto ha spiegato che l’imprenditore rischia di commettere un reato e di dover pagare un risarcimento solo se viene accertato il dolo o la colpa. Se le norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro vengono rispettate le aziende non hanno nulla da temere. Questo perché una norma del Cura Italia che aveva esteso ai dipendenti di ogni attività il trattamento infortunistico che l’Inail aveva riservato a medici e infermieri esposti al virus. Da qui, il timore dei datori di lavoro di venire accusati di un contagio che in realtà potrebbe avvenire ovunque e non necessariamente in ufficio o in fabbrica.

L’Inail e il caso bagnini per la respirazione bocca a bocca

In un’intervista a La Stampa sono arrivate poi le precisazioni del presidente dell’Istituto Franco Bettoni: «Il decreto Cura Italia qualifica infortuni sul lavoro i “casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro”. La denuncia di infortunio da infezione non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail e sulla responsabilità penale del datore di lavoro. Per quest’ultima, l’accertamento è molto rigoroso, perché deve essere provato il nesso di causalità tra il danno subito e il fatto che lo ha determinato. Occorre accertare anche il dolo o la colpa del datore di lavoro per mancato rispetto delle norme a tutela della salute e sicurezza».

Resta il fatto che le imprese rischiano di finire sotto ricatto. Non è così?
«Le modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro rendono estremamente difficile la configurabilità della responsabilità penale. Il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro non costituisce presupposto per l’accertamento della responsabilità penale del datore di lavoro. Insomma, non potrebbe in alcun modo assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale».

respirazione bocca a bocca

Ma non è tutto, perché siccome l’INAIL è finita nei guai anche per aver vietato ai bagnini la respirazione bocca a bocca, Bettoni ha voluto chiarire anche questo punto. Ma non è che gli sia davvero riuscito:

Le linee guida dell’Inail anti-Covid vietano la respirazione bocca a bocca da parte del bagnino in caso – ipotizziamo – di un rischio di annegamento. Non crede che una raccomandazione del genere sfiori il ridicolo?
«Devo premettere che la raccomandazione, come tutte quelle contenute nei documenti pubblicati, è un’indicazione tecnico-scientifica fornita da Inail, Istituto superiore di sanità e approvata dal Comitato scientifico per le definitive valutazioni del governo».

Dunque cambierà ancora?
«Le indicazioni sono in evoluzione sulla base delle evidenze scientifiche, come avviene normalmente per le linee guida sanitarie».

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