«COVID-19 non esiste»: nella caserma Serena di Treviso i sani non sono stati separati dai malati

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-08-08

Dopo il primo allarme di giugno 300 profughi rimasero in isolamento per otto giorni. Si era deciso di dividerli ma hanno rifiutato il trasferimento al grido «il Covid non esiste» e il gestore non ha «l’autorità per costringerli a fare le valigie né a indossare le mascherine o a usare il disinfettante».

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Ieri il Veneto è tornato ad essere la regione con più contagi da Coronavirus SARS-COV-2 con 183 positivi, di cui la gran parte legati alla caserma Serena di Treviso che oggi è il più grande focolaio d’Italia. E si scopre che uno dei motivi del contagio è un errore di gestione: i sani non sono stati separati dai malati.

Nella caserma Serena di Treviso i sani non sono stati separati dai malati

Dei 300 profughi che attualmente vivono nella caserma i contagiati sono 246. Il 30 luglio un primo giro di tamponi aveva consentito di scoprire 137 migranti infetti. Ma il Corriere della Sera, tornando indietro nel tempo, racconta anche che i sani non sono stati separati dai malati:

Gianlorenzo Marinese, il presidente di Nova Facility — la società che gestisce il centro — ricorda che dopo il primo allarme di giugno i 300 ospiti rimasero in isolamento per otto giorni e poi furono lasciati liberi di muoversi «senza neppure essere sottoposti a un nuovo tampone». Dall’Usl dicono che «il protocollo non prevedeva un nuovo giro di test e comunque all’interno della struttura non ci sono le condizioni di sicurezza», considerato che a giugno i medici erano stati aggrediti e sequestrati in guardiola da un gruppo di ospiti.

Ma anche ipotizzando che il focolaio di oggi non sia conseguenza diretta di quello di due mesi fa, com’è stato possibile che i 137 malati di fine luglio siano stati lasciati nelle condizioni di infettare altrettanti ospiti sani? E qui la risposta ha del sorprendente: positivi e negativi al tampone non sono mai stati separati. Si era deciso di creare, all’interno della «Serena», una palazzina dove isolare gli infetti ma in realtà non è mai stato fatto: da giugno a oggi, i profughi hanno continuato a condividere camere e spazi comuni.

E la motivazione ha dell’incredibile: Marinese dice che i soliti facinorosi hanno rifiutato il trasferimento al grido «il Covid non esiste» e lui non ha «l’autorità per costringerli a fare le valigie né a indossare le mascherine o a usare il disinfettante».

Il risultato è che a Treviso migranti sani e malati sono rimasti insieme, lasciando campo libero al virus. In un caso simile sempre in Veneto, a Jesolo, si era agito diversamente: alla scoperta di un focolaio nel centro gestito dalla Croce Rossa, era subito scattato il trasferimento dei positivi in un’altra struttura.

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