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Cosa c’è dietro la storia dei tunisini con il barboncino sbarcati in Sicilia

Alessandro D'Amato 29/07/2020

Gli sbarchi dalla Tunisia a luglio sono quadruplicati rispetto al 2019. Si tratta in massima parte di “sbarchi autonomi” che non si possono in alcun modo respingere anche se c’è chi, soffiando sul fuoco, dice il contrario. Il motivo della fuga dal paese è la crisi economica

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Nei giorni scorsi abbiamo parlato della storia del barchino con 11 cittadini tunisini sbarcato in Sicilia. Ieri 23 tunisini, tra cui due minori, sono stati sottoposti a fermo con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si tratta dei membri dell’equipaggio del motopesca tunisino “Hadj Mhamed” di 27 metri, posto sotto sequestro dai militari della sezione operativa navale della Guardia di finanza e della Guardia costiera di Lampedusa.

Cosa c’è dietro la storia dei tunisini con il barboncino sbarcati in Sicilia

Sono accusati di avere trasportato illegalmente almeno cinque tunisini, che avevano pagato 4 mila dinari a testa per essere trasportati dalle coste vicino al porto di Mahdia (Tunisia) a Lampedusa, col sistema della “nave madre”: a poche miglia dall’isola i migranti sarebbero stati imbarcati su uno dei tre barchini a motore a disposizione del motopesca e indirizzati verso l’isola. E la Guardia costiera tunisina ha intercettato, al largo di Susa, nella notte tra il 26 e il 27 luglio scorso, un peschereccio diretto verso le coste italiane, con 20 persone a bordo. I 20 fermati sono stati tutti riportati a riva e denunciati alla magistratura. Sempre nella notte tra il 26 ed il 27 luglio, la Guardia costiera ha arrestato 9 persone a bordo di una nave nel porto di Skanes, intenzionate a raggiungere le coste italiane. Anche in questo caso i fermati sono stati denunciati alla magistratura.

Euronews scrive che gli sbarchi dalla Tunisia a luglio sono quadruplicati rispetto al 2019. Si tratta in massima parte di “sbarchi autonomi” che non si possono in alcun modo respingere anche se c’è chi, soffiando sul fuoco, dice il contrario. Giusto un esempio per dare l’esatta dimensione del fenomeno: dal 1 gennaio al 1 settembre 2019 (un periodo nel quale il ministro dell’Interno era un certo Matteo Salvini) in Italia sono sbarcati 5.025 migranti (tutti mentre Salvini era al governo). Di questi però solo 472 sono arrivati a bordo delle imbarcazioni delle ONG. Gli altri 4.553 sono arrivati in un altro modo. All’epoca, mentre Salvini ingaggiava furiose battaglie di chiacchiere con le ONG, si arrivava con i barchini che hanno una curiosa caratteristica: non possono essere respinti perché quando vengono avvistati si trovano già nelle acque italiane e non è possibile ingaggiare una tarantella con Malta tirando fuori il centimetro per misurare la distanza dal “porto sicuro” più vicino. Per questo Salvini non ne parlava.

La crisi economica della Tunisia

Ma il problema che spinge anche il ceto medio, ovvero i cittadini tunisini con bagagli e barboncini, a scappare dalla Tunisia è la crisi economica causata dall’emergenza Coronavirus. Il Messaggero spiega che la maggior parte era occupata nel turismo, nella ristorazione, settori ora in ginocchio. Famiglie che a causa della chiusura generale si sono ritrovate da un giorno all’altro nella precarietà totale. E così stanno tentando la sorte: qualcuno si organizza acquistando un mezzo proprio, altri si mettono nelle mani delle organizzazioni criminali, che si fanno pagare da mille a quattromila euro.

Nuovo punto di partenza, oltre a Sfax e a Sousse, è Sidi Mansour. Dal porticciolo del villaggio, negli anni, è salpata la maggioranza di migranti diretti in Italia. Generazioni di giovani tunisini hanno tentato la fortuna infilandosi dentro bagnarole con la prua diretta a nord-est, verso il nostro paese. Negli ultimi mesi i nostri servizi di intelligence hanno registrato un grosso movimento di migranti che parte dalla Libia, dopo un lungo viaggio dalle zone subsahariane, e arriva al porto commerciale di Sfax, da dove, in certe giornate, le isole Pelagie si riescono a vedere benissimo. Prima del conflitto in Libia, la manodopera tunisina riusciva a trovare un’occupazione lì.

porto empedocle matteo salvini

Ma con la guerra, questa valvola di sfogo alimentata dal petrolio, è venuta a mancare. E sono cominciate le fughe via mare. Secondo Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia da quando sono partite le proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione.Mentre il Viminale, davanti ai nuovi numeri, ammette: «C’è il rischio di un esodo tale da ricordare quello dall’Albania del 1991, un problema serissimo da affrontare a livello di governo». Dal prossimo mese l’amministrazione pubblica tunisina non avrà più i soldi per pagare gli stipendi. La bancarotta è vicina e, inmancanza di un governo in carica, l’esodo in massa è praticamente una certezza.

Una delle donne sbarcate due giorni fa ha spiegato che il piccolo gruppo di connazionale ha avuto “l’idea di comprare una barca e a questo scopo ognuno ha messo del denaro, non molto”, quanto bastava per acquistare il barchino “e affrontare il viaggio”. In particolare la proprietaria del barboncino ha raccontato di conoscere l’Italia: “Ci ho vissuto per circa 15 anni, ma ho deciso di tornare qui, in questo modo, perché nel mio Paese non si può stare. Voglio ricominciare, trovare un lavoro, una nuova opportunità in un paese libero… la Tunisia non lo è davvero”. Il gruppo è stato condotto all’arrivo nell’hotspot di Lampedusa, in vista del trasferimento predisposto dalla prefettura.

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