Scuole chiuse: cosa ci aspetta con le lezioni online

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-03-04

La ministra dell’Istruzione rilancia con la possibilità delle lezioni a distanza per gli studenti costretti a casa dall’epidemia di Covid-19. Ma ammette che sono molto pochi i docenti in grado di usare una LIM (che tra l’altro è uno strumento che sta in classe, e non a casa) e quasi nessuno ha la formazione necessaria per gestire la didattica telematica con la classe “virtuale”

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Coronavirus e scuole, che intenzioni ha il Governo? Secondo le agenzie di stampa l’intenzione è quella di prolungare la chiusura di scuole e università fino al 15 marzo. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina però frena e fa sapere che non è stato deciso ancora nulla. In un’intervista a Repubblica però la ministra ammette che un problema c’è: la didattica a distanza. Nel decreto la possibilità sarà prevista, ma che ci sia qualcuno che sappia come farla è un altro paio di maniche.

Ma se non tutti i docenti sanno usare la LIM a cosa serve la didattica online?

In teoria il sistema della LIM (le lavagne interattive multimediali) potrebbe risolvere il problema dovuto alla chiusura delle scuole e consentire il proseguimento delle lezioni via Web. In pratica non è così perché le LIM sono nelle classi e se le scuole sono chiuse non si capisce come si possano utilizzare. A meno ovviamente di non mandare i docenti in classe senza gli alunni. C’è anche da dire che  non tutti i docenti sanno usare le LIM e l’insegnamento a distanza, con la “classe” sparsa sui vari terminali non è cosa che si improvvisa da un giorno all’altro. Perché un conto è dover gestire la classe “in presenza” con un paio di alunni (che magari stanno facendo terapie delicate) collegati in videoconferenza, un altro è avere tutta la classe “fuori”. La ministra Azzolina ne è consapevole e per questo spiega che è stata aperta «una pagina sul sito del Miur che va immaginata come un inizio. La prima cosa che vi si trova sono le lezioni di formazione per i docenti, i cosiddetti webinar, seminari in rete». La pagina è questa qui ed è presentata come «un ambiente di lavoro in progress per supportare le scuole che vogliono attivare forme di didattica a distanza nel periodo di chiusura legato all’emergenza coronavirus».

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La pagina dei Webinar per i docenti

Si tratta però di una scelta che le istituzioni scolastiche possono fare in totale autonomia e senza nessun obbligo. In pratica ci si affida – come sempre – alla buona volontà di presidi e docenti e alla speranza di una collaborazione da parte degli alunni. Va da sé che se ci si trova solo oggi nella necessità di formare i docenti è evidente che non si riuscirà certo a farlo in tempo per garantire la continuità didattica nonostante il coronavirus.

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Qualcosa c’è anche per gli studenti. Mentre i docenti potranno seguire dei seminari via Web su temi come “la creazione di videolezioni” oppure sulla “realizzazione digital-storytelling” agli studenti è invece possibile accedere alle banche dati di RAI o della Treccani oppure a piattaforme digitali – come G-Suite for Education – per entrare a far parte di classi virtuali. Il problema qui però è la mancanza di uniformità nel programma, non tutte le classi “reali” sono allo stesso punto.

Senza formazione non c’è innovazione

Le idee quindi sono molte, gli strumenti anche. Ma mentre la ministra Azzolina insiste sul fatto che il coronavirus deve rappresentare un’opportunità per l’innovazione. Di fatto però si procede in ordine sparso con effetti involontariamente comici.  C’e’ ad esempio la rete di scuole aderenti al programma educativo dell’associazione ‘Ashoka’ che ha stilato ‘5 risposte per le scuole ai tempi del coronavirus’. ‘Sfruttare le potenzialita’ della rete’ come l’istituto superiore ‘Tosi’ di Busto Arsizio in Lombardia, sin dai primissimi giorni di chiusura, ha virato sulla didattica online. Mentre all’ istituto superiore ‘Savoia-Benincasa’ di Ancona vengono incoraggiate azioni di approfondimento sulla didattica on-line, formazione e aggiornamento culturale e professionale, scambio di informazioni, esperienze e materiali didattici tra insegnanti stessi.

Ci sono anche  gli studenti universitari che sono riusciti a laurearsi collegandosi in videoconferenza con la commissione di laurea ma ci sono anche docenti che non hanno la benché minima idea di cosa fare. E si assiste così ad un’inversione dei ruoli, con l’alunno (notoriamente nativo digitale) che sale virtualmente in cattedra per spiegare al professore o alla professoressa come utilizzare il sistema e connettersi alla classe.

Chi ha avuto la disgrazia di dover prendere parte a riunioni di lavoro via Skype, magari con più di due partecipanti, sa quanto sia incredibilmente estenuante far iniziare l’incontro, con il rischio costante che uno degli astanti possa improvvisamente “cadere” perché la connessione non è stabile (o il gatto è saltato sulla tastiera).

La proposta di Salvini e Meloni su scuola e coronavirus

Ci sono poi altri problemi e ostacoli da superare. Ad esempio: se i genitori lavorano chi è che segue i figli a casa? Non tutti hanno i nonni a portata di mano e pagarsi la baby sitter per altri dieci giorni perché il bimbo non può giustamente essere lasciato a casa da solo per molte famiglie rappresenta una bella sfida dal punto di vista economico. La scuola non è un parcheggio, ma la scuola chiusa è un altro paio di maniche. Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno fatto praticamente in simultanea la stessa proposta.

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«Adesso serve di lavorare, ho qualche idea, dobbiamo aiutare le famiglie per dove tenere i figli. Non giudico il provvedimento, bisogna trovare un modo: o si lavora a una misura tipo congedo parentale eccezionale, o a dei contributi per avvalersi di un collaboratore o un rimborso economico per una babysitter. Non tutti hanno a disposizione i nonni. Non si può dare per scontato che ci sarà qualcuno che risolve il problema».  Così la leader di FdI, Giorgia Meloni, a “Un giorno da pecora” su Radio Uno.

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Su Facebook la Meloni ha rilanciato la sua proposta con l’idea di «un voucher baby sitter da 500 euro al mese per famiglie dove tutti lavorano». Naturalmente la leader di Fratelli d’Italia non dice come e dove dovrebbero essere trovati quei soldi. E a dirla tutta se stiamo parlando di baby sitter che lavorano 8 ore al giorno (ovvero il tempo in cui i genitori sono a lavoro) per cinque giorni a settimana per un mese a 500 euro è francamente una paga da fame.

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Matteo Salvini, ex ministro ma sempre papà, chiede ai suoi fan come si organizzeranno e propone la stessa cosa detta dalla Meloni «stanziare aiuti economici per i genitori che lavorano e devono occuparsi dei figli a casa». Al solito il leader della Lega non entra nel merito, forse aspetta che la Meloni dia qualche dettaglio in più.

Leggi anche: La pagliacciata del governo sulle scuole chiuse fino al 15 marzo

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