Coronavirus: rischio fallimento per il 10% delle imprese italiane

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-03

Cerved Rating Agency stima un raddoppio delle difficoltà nell’ipotesi (ancora ritenuta improbabile) di una crisi non risolta in sei mesi. I settori più a rischio sono le costruzioni, la fornitura d’acqua e le reti fognarie, la ristorazione

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Mentre l’OCSE fa sapere che il Coronavirus potrebbe dimezzare la crescita globale, in Italia il 10% delle imprese è a rischio: Cerved Rating Agency stima un raddoppio delle difficoltà nell’ipotesi (ancora ritenuta improbabile) di una crisi non risolta in sei mesi. I settori più a rischio sono le costruzioni, la fornitura d’acqua e le reti fognarie, la ristorazione.

Coronavirus: rischio fallimento per il 10% delle imprese italiane

Secondo l’agenzia di rating ci sono due scenari, uno soft e uno hard. Spiega oggi Il Sole 24 Ore che nell’ipotesi di una pandemia prolungata, non arrestata entro l’anno, un’azienda su dieci in Italia sarebbe a rischio default. Un più che raddoppio rispetto ai livelli attuali, che sulla base della distribuzione attuale dei giudizi espressi su 25mila aziende simula l’impatto del Coronavirus in ciascun settore. Nel caso più favorevole (e ritenuto più probabile), quello in cui la crisi sanitaria si risolva in 3-6 mesi, la probabilità media di fallimento salirebbe di due punti, passando dal 4,9% al 6,8%, con una parallela contrazione dei margini, dal 6,1% al 4,2% in termini di Ebitda.

Il rinvio delle decisioni di investimento penalizzerebbe il già fragile settore delle costruzioni, tipicamente ancorato al ciclo dell’economia, spingendo il tasso di default al 10,6%, il massimo tra le aree studiate. E fragilità aggiuntiva indotta vi sarebbe anche per tutto ciò che è legato ai trasporti, alle attività ricreative e al turismo, all’ospitalità e alla ristorazione.  Crisi che ad ogni modo non risparmierebbe l’intera area manifatturiera, con problemi aggiuntivi per il comparto tessile-abbigliamento, penalizzato più di altri dalle difficoltà sperimentate in Cina, che si riverberano in modo negativo sia in termini di domanda che di continuità delle forniture. In termini di distribuzione dei rating, l’area di vulnerabilità salirebbe di qualche punto per arrivare al 40% mentre la fascia di aziende a rischio raddoppierebbe al 15% del totale.

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Cerved: il coronavirus e i rischi per le imprese italiane (Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2020)

L’unico comparto in grado di migliorare sotto questo aspetto sarebbe quello farmaceutico, travolto presumibilmente da una domanda aggiuntiva in Italia e non solo. In generale, oltre alle costruzioni, sarebbero soprattutto i servizi a subire l’onda d’urto negativa della crisi, mentre la manifattura riuscirebbe in una certa misura a contenere i danni, con un tasso di default all’8,6% (quasi due punti sotto la media) e un margine Ebitda al 4,4%.

Crollano le vendite di auto in Veneto e Lombardia

Intanto in Veneto e Lombardia stanno crollando le vendite di automobili.  L’effetto Coronavirus ha condizionato gli ultimi giorni del mese, la preoccupazione è soprattutto per le prossime settimane: il 75% dei saloni di vendita registra cali di clienti e ordini.

Federauto, associazione a cui aderiscono i concessionari italiani, evidenzia l’indebolimento del canale vendita ai privati, calato nel mese del 9,4%, a quota 51,6% sul venduto. «I riflessi del coronavirus hanno un impatto evidente nell’andamento delle immatricolazioni delle aree più direttamente investite all’emergenza sanitaria – rileva Federauto – con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna che perdono rispettivamente il 20,9%, il 19,54% e il 19,56%».

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Le vendite di auto in Lombardia e Veneto (Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2020)

Le difficoltà emersa già le settimane scorse all’interno della filiera produttiva dell’automotive, ora rischiano di riflettersi sul mercato, in un contesto economico già complesso per il settore a livello europeo. «Ci auguriamo che a breve si avvii un processo di normalizzazione – sottolinea Paolo Scudieri a capo dell’Anfia, l’associazione delle imprese della filiera – affinché tutte le imprese del settore, a maggior ragione quelle della filiera produttiva, possano contenere le perdite e ritornare competitive sui mercati internazionali».

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