Come l’Italia (non) fa lavorare i suoi laureati e diplomati

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-11

A 1-3 anni ha un impiego il 58,7%. Almalaurea calcola gli effetti del Covid: tasso di occupazione ridotto del 9%

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L’Italia è ultima nell’Unione Europea nel trovare lavoro a chi si è diplomato o laureato dopo tre anni dal conseguimento dal titolo di studio. Dal rapporto dell’Ufficio statistico europeo (su dati 2019), pubblicato quando l’Italia era in piena pandemia e passato un po’ in sordina e illustrato oggi da La Stampa, emerge che il tasso di occupazione, a 1-3 anni dall’aver concluso gli studi, è del 58,7%. Nessuno, nell’Ue, fa peggio. Subito sopra si trova la Grecia (59,4%), al terzultimo posto, distanziata, la Spagna (73), e sono lontani la media europea (80,9%) e il podio: Malta (93,1%), Germania (92,7%) e Paesi Bassi (91,9%). Se invece si considerano solo i laureati (il rapporto indica lo standard Isced 5-8), l’Italia sale al 64,9% e supera la Grecia (64,2%), rimanendo però ben distante dalla media Ue: 85%.

«Siamo un Paese ad alto tasso medievale» commenta Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea. Perché questi dati? «Primo: i nostri ragazzi iniziano l’università un anno dopo molti colleghi europei, si laureano tardi e spesso abbandonano. Secondo: la riforma del 3+2 è partita male. Terzo: manca l’orientamento. E poi gli stipendi: all’estero pagano meglio e quindi i nostri giovani se ne vanno, anche perché in Italia molte imprese sono a conduzione familiare e familistica. Università, politica e imprese devono lavorare insieme, e dei tre attori l’università è quella che fa meglio la sua parte».

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L’Italia e il lavoro dei diplomati e dei laureati a tre anni dal conseguimento del titolo di studio (La Stampa, 11 luglio 2020)

A chi critica l’eccesso di teoria di atenei che non preparerebbero al mondo del lavoro, Dionigi replica che «la pratica ha il suo peso, ma il compito dell’università non è formare dei superperiti». A preoccuparlo, in questo 2020, sono le immatricolazioni: «La crisi del 2008 ci ha fatto perdere 60.000 matricole, poi per metà recuperate. Ora dobbiamo stare attenti. Per una famiglia senza lavoro o in cig iscrivere un figlio all’università sarà la priorità? Io dico che perdere anche una sola matricola sarà una sconfitta per il Paese».

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