Economia
Come il fisco dà la caccia agli evasori con Google Street View e Facebook
neXtQuotidiano 27/01/2020
L’agenzia delle Entrate ha ammesso il ricorso alle «fonti aperte» (compresi siti e social network) fin dalla circolare 16/E del 2016. Tra le applicazioni citate, c’è l’utilizzo del web come fonte di informazioni sulle caratteristiche degli immobili compravenduti e sulla zona in cui si trovano
Il Sole 24 Ore racconta oggi di un Comune abruzzese – Pineto, in provincia di Teramo – che è riuscito ad accertare l’imposta di pubblicità non versata per quattro anni grazie ad alcune foto scaricate da Google Street View. Le immagini, in particolare, mostravano un veicolo su cui era installato un cartellone pubblicitario e la Cassazione (ordinanza 308/2020) ha respinto le obiezioni del contribuente, che contestava l’utilizzabilità delle foto. Con un piccolo paradosso, è uno dei tanti modi in cui i giganti del web offrono indirettamente informazioni preziose al Fisco.
L’agenzia delle Entrate ha ammesso il ricorso alle «fonti aperte» (compresi siti e social network) fin dalla circolare 16/E del 2016. Tra le applicazioni citate, c’è l’utilizzo del web come fonte di informazioni sulle caratteristiche degli immobili compravenduti e sulla zona in cui si trovano. Come dire: un elemento a rinforzo delle quotazioni rilevate dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi). Il tutto con l’obiettivo di scovare chi ha sottodichiarato il prezzo di acquisto di un fabbricato (al di fuori dei casi in cui scatta il “prezzo valore”).
Anche la Guardia di finanza, nella circolare 1/2018, diramata a fine 2017, menziona gli «elementi non risultanti dalle banche dati», facendo riferimento – ancora – alle «fonti aperte». Concetto poi ripreso nelle Linee guida per la programmazione 2020 delle Entrate, che chiedono ai funzionari degli uffici perifierici di cercare le finte Onlus monitorando, tra l’altro, i siti internet «che pubblicizzano l’offerta di prodotti o servizi commerciali, come i centri benessere, la gestione di palestre, piscine» o magari cinema e teatri.
E per quanto riguarda i precedenti un caso di studio è quello della Commissione tributaria provinciale di Pisa (sentenza 136/2/2007), con cui il Fisco ha incastrato una società che faceva rimessaggio di imbarcazioni grazie a Google Earth: le immagini aeree scattate a distanza di tempo mostravano un numero di scafi ben superiore a quello su cui erano state pagate le imposte. Una pronuncia più recente è quella della Corte d’appello di Brescia (1664/2017) in cui un contribuente è stato incastrato dai propri post su Facebook, che dimostravano spese incompatibili con il reddito dichiarato.
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