La Cina entra nel TPP?

di Claudio Landi

Pubblicato il 2018-10-29

La Cina starebbe studiando, il condizionale non solo è obbligatorio ma è decisamente fondamentale perchè stiamo parlando di una ipotesi sulla frontiera della fantapolitica, di fare richiesta di adesione al nuovo accordo transpacifico senza gli Stati Uniti

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‘Credo che dobbiamo portare ad un nuovo livello il sistema del libero e equo commercio’. Shinzo Abe, primo ministro giapponese, appena uscito dallo storico incontro a Pechino con il Presidente cinese Xi Jinping, si è così espresso sul dossier più importante dei colloqui sino-nipponici di questi giorni, il dossier delle guerre commerciali di Donald Trump. Cina e Giappone hanno mostrato un ‘fronte unito’, scrive la stampa di Tokyo, sul tema importantissimo del libero (ed equo) commercio. Il primo ministro cinese Li Keqiang aveva preceduto Abe in affermazioni importanti sul tema: ‘Cina e Giappone dovrebbero lavorare per un accordo regionale, come l’RCEP (‘Regional Comprehensive Economic Partnership’), e per un accordo trilaterale di libero scambio, FTA (‘Free Trade Agreement’), Cina-Giappone-Corea del sud’. Il leader cinese dunque è stato esplicito nell’indicare i due tavoli chiave per una apertura ulteriore del commercio mondiale ed asiatico, e delle economie del Far East, RCEP e FTA trilaterale.

 

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La Cina entra nel TPP?

Ma se si leggono alcuni commenti ed analisi dei giorni scorsi, si scorge una, ipotetica, terza possibilità, un teorico, terzo tavolo. Il CPTPP. L’acronimo CPTPP sta per ‘Comprehensive and Progressive TransPacific Partnership’ ed è non altro che la continuazione del TPP, l’accordo Transpacifico bloccato dalla nuovo presidente americano Donald Trump, e ripreso dal governo giapponese di Shinzo Abe, con altre 10 nazioni dell’Asia e del Pacifico, con alcuni cambiamenti. Il CPTPP è stato siglato, senza gli Stati Uniti, neo-protezionisti e bilateralisti dell’era Trump, dal Giappone e da questi dieci paesi, Singapore, Canada, Australia, Malaysia, Vietnam, Messico, nel marzo scorso. Ma mentre il TPP delle origini (fortissimamente voluto dal premier giapponese ma anche dall’allora presidente americano Barack Obama), era nato come strumento potente (discutibile ma potente) di ‘indebolimento’ della posizione cinese, il nuovo accordo transpacifico, il CPTPP nasce fin dalla partenza in contrapposizione, mai espressa duramente, ma tant’è, con l’amministrazione Trump e il suo approccio economico globale.
Shinzo Abe è attentissimo a cercare comunque colloqui, intese, accordi con l’amministrazione Trump, e difatti alla fine di settembre, tanto per fare solo un esempio, il governo conservatore giapponese ha accettato la richiesta americana di iniziare negoziati bilaterali per un accordo commerciale a due fra Usa e Giappone. Nonostante tutto questo, e nonostante gli indubbi legami strategici che uniscono i due paesi, fin dalla fine della seconda guerra mondiale, il governo Abe non ha avuto esitazioni e remore ad andare avanti sulla via del TPP senza gli Stati Uniti, anzi in contrasto con la ‘nuova’ politica economica globale di Trump.


Ora il CPTPP potrebbe diventare, come nemesi della storia, uno strumento potente per l’integrazione economica dell’Asia: la Cina starebbe studiando, il condizionale non solo è obbligatorio ma è decisamente fondamentale perchè stiamo parlando di una ipotesi sulla frontiera della fantapolitica, di fare richiesta di adesione al nuovo accordo transpacifico senza gli Stati Uniti. Sarebbe un ‘colpo grossissimo’ per Pechino che in tal modo romperebbe con un solo colpo l’intera strategia americana della ‘clausola anti-Cina’. L’amministrazione Trump, di fronte al sostanziale fallimento della sua politica di dazi e tariffe (la Cina ha preso una posizione del tutto attendista; i paesi alleati, dal Giappone all’UE, si sono ben guardati dal seguire Washington nella guerra tariffaria anti-cinese e hanno scelto altre vie, multilateraliste, per contestare a Pechino alcuni suoi comportamenti) ha preso la via della clausola anti-Cina. Nel nuovo accordo commerciale nordamericano, il Nafta 2.0 (o anche detto sempre in acronimo, USMCA), è stata inserita una norma che dà sostanzialmente agli Usa un ‘potere di veto’ verso futuri accordi commerciali di libero scambio fra Canada o Messico ed ‘economie non-di mercato’. Si scrive ‘non-di mercato’ e si legge Cina. Ora l’amministrazione Trump vorrebbe introdurre clausole del genere anche nei futuri accordi commerciali con gli altri alleati, Giappone in testa. La mossa del TPP, o per meglio dire del CPTPP, sarebbe da questo punto di vista, la classica ‘mossa del cavallo’ per la geopolitica e la diplomazia di Pechino. Essa consentirebbe infatti di bypassare la nuova strategia dell’amministrazione Trump, di allargare lo spazio economico asiatico in un modo senza precedenti, di stringere nuovi e fruttuosi legami con gli altri paesi dell’Asia e del Pacifico, compresi alleati strettissimi degli Stati Uniti come Australia, Canada e Nuova Zelanda; ed infine incentiverebbe non poco il processo di riforma economica e politica del capitalismo cinese.

 

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The TPP 11, or the CPTPP, is the world’s most important trade deal since NAFTA. It’s a mouthful – but it sounds familiar, doesn’t it?

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Sarebbe quasi un ‘bingo’ per Pechino. Che però avrebbe il suo prezzo: gli economisti infatti ci hanno detto che la Cina dovrebbe ‘adattarsi’ a regole ed istituzioni lontane dall’attuale livello dell’economia cinese. Insomma Pechino dovrebbe lavorare davvero tanto per mettersi in regola secondo gli standard del CPTPP. Ciò consiglierebbe Pechino a prendere altre vie meno ‘costose’: che poi sono proprio le vie indicate dal primo ministro cinese, ovvero l’RCEP, l’Accordo regionale asiatico, e il FTA trilaterale, l’accordo di libero scambio Cina-Giappone-Corea del sud. Ma c’è da dire che proprio quel pesante ‘prezzo politico’ potrebbe essere alla fin fine, la ragione di un interesse della Cina al TPP nuova versione: come abbiamo detto, l’adesione o solo la richiesta di adesione all’accordo Transpacifico imporrebbe a Pechino una intensificazione del processo riformatore, dal capitalismo di stato, ad uno stato di diritto in grado di garantire i diritti di proprietà per arrivare ad un mercato finanziario regolato decentemente. Ma tutte queste sono riforme indispensabili alla crescita ulteriore del capitalismo cinese e sono da tempo, con modalità e calendari cinesi, nell’agenda politica della leadership di Xi Jinping. Insomma, proprio il prezzo politico da pagare, paradossalmente, potrebbe essere il fattore decisivo per una scelta proTPP da parte cinese. Per ora l’ipotesi è stata solo ventilata, e la missione di Shinzo Abe a Pechino (e della quale daremo prossimamente conto) non pare aver portato nulla su questo fronte. Ma solamente i prossimi mesi potranno svelarci se in queste ore a Pechino si siano prese decisione come quella di una adesione cinese al TPP. Sarebbe una bomba politica ed è sempre bene ricordare gli stretti legami che tuttora uniscono Usa e Giappone. E intanto il CPTPP potrebbe comunque allargarsi: alla Gran Bretagna e ad altri paesi asiatici, dalla Thailandia alla Corea del sud.

Foto di copertina via Instagram

 

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