Checco Zalone non è il comico che meritiamo ma quello di cui abbiamo bisogno

di Fabrizio Delprete

Pubblicato il 2022-02-03

Checco Zalone potrà piacere o meno, ci mancherebbe pure. Ma è stato utile. Incredibilmente utile: ecco perché

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Punto primo: Checco Zalone ha colto nel segno. Ha colpito, senza dubbio. Ha lasciato il segno.
Ha scoperchiato il vaso. Ha dato il via alle danze social, in maniera inarrivabile e indiscutibile.
Su questo, non credo si possa dissentire.

Ed è proprio da questo che dobbiamo partire, secondo me.

Secondo punto: Checco Zalone è estremo? Sì. È semanticamente inaccettabile? Sì. È irriverente? Sì.
Sì, sì, sì a qualsiasi domanda.
Checco Zalone è precisamente così. Non da ora, da sempre. Ha la capacità, più unica che rara, di far proprie le miserie umane della nostra società e dei nostri tempi. Non le interpreta, le fa proprio sue. Quelle miserie diventano – più che maschera – la sua seconda pelle, in base al momento.
È un talento immenso, ma anche un’arma a doppio taglio. Perché poi quella pelle quasi ti rimane addosso, specialmente per gli osservatori meno attenti. Proprio come con Villaggio, indimenticabile genio, che subì la seconda pelle di Fantozzi come condanna per tutta la vita.

Però Villaggio, proprio come Zalone, non era Fantozzi. Paolo non era il miserabile coglionazzo che ambiva a salire la scala sociale con mezzucci senza averne il necessario cinismo. Paolo, con quella seconda pelle, denunciava (appunto) le miserie umane, i sotterfugi, le discriminazioni e le disparità sociale degli anni ’70 e ’80.
Ed è proprio quello che fa, trenta e passa anni dopo, Checco Zalone.

È rabbioso e infame, Checco, nell’indossare le sue diverse pelli. È cattivo e devastante, scorretto, infimo, ributtante. Lo è stato quando faceva il maschilista becero, lo è stato quando ha indossato il razzismo più subdolo in Tolo Tolo (talmente perfetto e mediaticamente devastante da far incazzare anche me con il suo trailer) e lo è stato anche al Festival di Sanremo, con la sua pelle omofoba.

Talmente perfetto e sublime da scatenare una bagarre senza pari, specialmente sui social.

Ed è qui, proprio su questo punto, che dobbiamo interrogarci.

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Foto IPP/Andrea Oldani
 

È stato utile alla causa, con la sua pelle omofoba, Checco Zalone?
Perché è proprio su questo che si dibatte, in una giostra impazzita di posizioni e pensieri, con amici che diventano improvvisamente nemici e nemici omofobi che – nel tamponare il pugno in faccia preso da Zalone – mostrano improvvisamente una comprensione del testo e delle cose sconosciute.

Perché sì. Sì. Sì. Zalone con la sua interpretazione, con la sua seconda pelle, con la sua volgarità, in pochi minuti di Festival ha fatto più di quanto possano fare un milione di seminari sul “gender” (la semplifico, così da essere scorretto e volgare anche io).
Perché Zalone in prima serata, davanti a milioni di spettatori, al Festival di Sanremo si è travestito, come fosse Fantozzi, e ha pisciato in testa a tutte le omofobie e a tutte le miserie disumane che ammazzano il nostro Paese. Non si nascosto dietro il politicamente corretto, non ha attenuato il personaggio, non ha nascosto le parole. Le ha prese – quelle stesse parole che ogni giorno feriscono e ammazzano le persone in carne e ossa – e ne ha fatto poltiglia. Le ha normalizzate? Sì, ma nella maniera migliore. Perché le ha umiliate con una risata, le ha banalizzate, le ha messe alla berline. Ha fatto capire, nell’arco di un sorriso, quanto siano ridicole e infami. Si è tolto la pelle infame e con quella stessa pelle ha rivestito quelle ributtanti parole.

E lo ha fatto dinanzi all’Italia intera.
Lo ha fatto senza supponenza. Lo ha fatto, soprattutto, in modo che arrivassero a tutte e tutti.
Ha fatto in modo che l’infamia – la pochezza – di quelle parole e di quei comportamenti inizi a sedimentarsi nella coscienza del dottore, come dell’operaio. Senza distinzioni culturali e muri eretti di capacità di analisi, senza prosopopee inutili, parlando al “popolino” (come da lui stesso detto all’inizio dello show).

Ha preso il mostro in maniera rude, lo ha sbattuto sul palco, ne ha fatto pezzettini e poi ha dato fuoco ai resti.

E allora, sì. Checco Zalone potrà piacere o meno, ci mancherebbe pure.
Ma è stato utile. Incredibilmente utile.
Perché Checco Zalone, proprio come Paolo Villaggio, ti costringe a guardarti, nudo, davanti allo specchio. Con tutte le tue imperfezioni. Con tutte le tue ipocrisie. Con tutti i tuoi limiti. E questo vale veramente per tutti.

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