Cari Pio e Amedeo, non spetta a voi (e a nessuno) gerarchizzare il dolore altrui

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2021-05-05

La risposta del direttore di Next, Lorenzo Tosa, agli autoproclamati cantori del politicamente scorretto

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Dopo giorni di silenzio e polemiche, hanno parlato loro, Pio e Amedeo, gli autoproclamati cantori del politicamente scorretto, sacri picconatori del buonismo e dei radical chic, pifferai magici della pancia e delle viscere italiche. Lo hanno fatto con un lungo post su Facebook nel quale non solo si guardano bene dal chiedere scusa (il che è anche legittimo), ma rilanciano la loro battaglia contro quella che definiscono “l’opinione unica” e ribadiscono in tono serio quello che avevano provato a dire qualche sera fa in forma comica in prima serata su Canale 5 con lo stesso, identico, risultato: non fanno ridere. Al loro lungo post, pieno di frasi fatte e CAPS LOCK buttato lì come granaglia per piccioni, ho provato a rispondere nel merito, senza polemica, provando a spiegare perché “le parole sono importanti” e perché mettere la forma contro la sostanza (uno degli argomenti preferiti di Salvini, per fare un esempio, e più in generale marchio di fabbrica di tutti i populisti) è l’errore più grande che possiamo combattere. E sappiamo già come va a finire.

Ecco il post di Pio e Amedeo:

“Siamo alla Folliaaaa 🤣
Qualcuno forse da questo post si aspetta delle SCUSE e lo avvisiamo subito che rimarrà deluso.
Pensiamo che moltissime persone che hanno attaccato il nostro monologo non l’abbiano nemmeno visto per intero e che tanti lo abbiano guardato già prevenuti. Bene, ci rivolgiamo a loro, a “voi”.
Non fate finta di non capire quello che abbiamo detto perché “vi” fa comodo trasformarlo nella solita querelle politica da quattro soldi.
La politica non ci appartiene.
La politica ci omaggia di spunti e personaggi senza distinzioni di partiti per fare quello che vogliamo fare, SATIRA, come abbiamo sempre fatto.
Mentre alcuni di “voi” erano impegnati a mettere l’arcobaleno nella foto profilo sui social, i sottoscritti qualche anno fa, sono andati in Russia a respirare la puzza dell’omofobia. Ci siamo messi in prima linea in uno Stato dove non badano troppo ai modi, perché insieme a Vladimir Luxuria eravamo lì per far sentire la voce per il diritto di uguaglianza, e di buona risposta siamo stati spinti in una macchina con violenza da energumeni e siamo stati buttati fuori fisicamente a calci da quel paese dove gruppi di imbecilli adescano ragazzi gay su internet per incontrarli, pestarli e fare un video per postarlo con fierezza sui social… il tutto senza gridare nessuna parola “politicamente scorretta”, incredibile!
Le persone cattive purtroppo possono fare anche a meno dei “vostri” divieti linguistici.
LE PAROLE HANNO LA LORO IMPORTANZA! Eccome se ce l’hanno…ma non SONO NULLA IN CONFRONTO ALL’INTENZIONE!
È logica: “le parole non valgono quanto l’intenzione!”
Questo abbiamo detto! NON CI PROVATE 😜
Si può fare così schifo anche usando solo termini “politicamente corretti”.
Passiamo al nostro suggerimento di usare l’ironia: l’utilizzo dell’ironia laddove si può, è chiaro, è solo quello di tentare di disinnescare l’offesa.
NESSUNO HA DETTO CHE l’IRONIA DISINNESCA LA VIOLENZA!
La risata è solo un palliativo all’ignoranza, perchè se l’ignoranza è come il covid, il sorriderci su e non dare troppa importanza ai vocaboli è il vaccino. E IL VACCINO NON È LA CURA! Sorriderci su è solo l’ombrello sotto l’acquazzone.
LA CURA all’ignoranza è l’EDUCAZIONE CIVICA, che prescinde dalla lingua.
NON CI PROVATE “voi” A METTERCI IN BOCCA CONCETTI NON NOSTRI PERCHÉ CASCATE MALE!
La più grande sciocchezza che abbiamo sentito volete sapere quale pensiamo sia?
Che bisogna appartenere ad una comunità per capirne le debolezze, che bisogna aver sofferto per capire.
Ma noi stiamo parlando di affrontare un problema che non riguarda la “comunità”, bensì chi LA DENIGRA , LA OFFENDE e LA OSTEGGIA.
SONO I CRETINI IL PROBLEMA, non la comunità…per risolvere il problema non bisogna essere della “comunità” ma conoscerne gli “aguzzini”, gli ignoranti intorno.
Esistono le PERSONE, non le categorie, LE PERSONE!
Esistono i cattivi, i vili, gli schifosi… quelli che adottano la violenza, è contro di loro che ci dobbiamo concentrare.
PERCHÈ OGNUNO È LIBERO DI FARE CIÒ CHE VUOLE, SEMPRE MA NEL RISPETTO DEL VIVERE CIVILE! Questa è Democrazia.
Non fermiamoci alla grammatica delle parole, OGGI PURTROPPO NON BASTA…EDUCHIAMO ANCHE LA TESTA E NON SOLO IL LINGUAGGIO!
Quando diciamo “VOI” ci rivolgiamo a quelli che non hanno capito il nostro messaggio.
Perchè fortunatamente, di gay, neri ed ebrei che hanno capito il senso di quello che abbiamo detto ce ne sono tanti, tantissimi, e sono quelli, come noi, a cui basterebbe raggiungere LA VERA UGUAGLIANZA.
Per chiudere sappiate che
noi abbiamo appena cominciato la nostra battaglia ai luoghi comuni e all’ipocrisia.
Il nostro obiettivo è sempre e sempre sarà quello di scardinare questa OPINIONE UNICA che vogliono imporci!😜
Stay Tuned

E la mia risposta:

“Cari Pio e Amedeo, rispetto il vostro punto di vista, che sicuramente è animato dalle “migliori intenzioni”. Anzi, ne approfitto per ringraziarvi per il vostro attivismo – di questo si è trattato – in Russia in difesa di una delle comunità (anche se il termine non vi piace) Lgbtq+ più colpite e discriminate al mondo. Però, vedete, portare l’esempio di persone che “adescano ragazzi gay per incontrarli, pestarli e fare un video da esibire sui social senza usare termini politicamente scorretti” è una fallacia logica ben nota in linguistica come “argomento fantoccio”: ovvero utilizzare un’argomentazione (magari estrema, come in questo caso) per squalificare l’argomento dell’interlocutore. Dire che queste persone fanno del male senza usare termini politicamente scorretti non aggiunge né toglie nulla alla tesi di chi considera le parole tremendamente importanti.
Con lo stesso esercizio retorico potrei ribattere che conosco persone (etero, omosessuali, donne, uomini, neri, bianchi, alti, magri, bassi) che per anni, decenni hanno subìto una violenza indicibile, una bullizzazione feroce e continua senza che nessuno dei loro carnefici gli abbia mai torto un solo capello. Ma non toglierebbe nulla alla violenza fisica subita da quei ragazzi russi. Semplicemente una cosa non esclude l’altra, una violenza non cancella l’altra, e metterle una contro l’altra in una sorta di gerarchizzazione del dolore altrui è una mancanza di rispetto intollerabile nei confronti di chi quel dolore, quella discriminazione, il peso enorme di quelle parole, lo porta sulle spalle ogni singolo giorno della sua vita, lo tiene marchiato sulla pelle e che, oggi, chiede solo che gli venga riconosciuta dallo Stato una tutela che oggi non ha, senza togliere diritti a nessuno. Quando qualcuno è vittima di violenza non ha tempo per misurare il grado di intensità del dolore, calcolare le intenzioni, valutarne il contesto. Butta tutto giù, da qualche parte, nel corpo e nella testa, come materiale tossico e radioattivo che mescola ogni cosa senza un ordine preciso: pugni, calci, sberle, offese, risatine, battute, pregiudizi, urla, isolamento, discriminazione, irrisione, derisione, scherno.
Nella mia vita, da ragazzo, sono stato bullizzato, e a mia volta sono stato bullo, come una forma di difesa estrema e spaventata. Come tanti, forse tutti. E da allora porto con me ogni giorno il peso di ogni singola parola che ho ricevuto o ho pronunciato, quelle con le cattive intenzioni che feriscono come lame in profondità e lasciano le cicatrici e quelle con le “buone intenzioni” che si depositano lì da qualche parte nascoste dietro i sorrisi di circostanza, che devi ingoiare a denti stretti perché “dai, e fattela una risata”, e poi ci sono quelle senza alcuna intezione, semplicemente perché è così che va, così che si dice, così fan tutti, così che va il mondo.
Conosco ogni singola sfumatura di questo dolore, senza essere gay, lesbica, trans, nero, senza disabilità, senza essere straniero, rom, ebreo, musulmano, migrante né alcuna altra minoranza che in questo Paese viene sistematicamente discriminata, violentata, massacrata con le parole (e non solo quelle). Ma, per capire cosa possono provare, mi basta prendere quel dolore lì e moltiplicarlo per cento.
Banalizzare tutto questo è l’errore più grande e imperdonabile che possiamo commettere, perché, banalizzandolo, non stiamo facendo altro che cancellarlo, annullarlo, sradicare via una gamma infinita di emozioni e sofferenze umane che possono essere utili a qualcun altro che magari vive le stesse cose e a cui non sa dare un nome. Poter dare un nome a quel dolore, poterlo condividere con qualcuno, per molti è l’unico modo per non sentirsi soli.
E vale anche per chi, come voi, non ne dubito, lo fa con le “migliori intenzioni” del mondo. Buon lavoro, buona vita.”
P.s. Ah, a proposito, quei russi non sono “imbecilli”, come li definite, sono dei criminali. Anche qui, come vedete, le parole sono tremendamente importanti.

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