Attualità
I carabinieri della caserma Levante di Piacenza e la pista (smentita) dei legami con la ’ndrangheta
Alessandro D'Amato 29/07/2020
«Ci sono i calabresi. I pezzi grossi»: secondo gli investigatori uno dei depositi in cui Montella si andava a rifornire di droga era gestito dalla ‘ndrangheta. La storia della trans e del sesso non protetto
«Ci sono i calabresi. I pezzi grossi»: Repubblica scrive oggi che un filone dell’inchiesta sui carabinieri della caserma Levante di Piacenza è finito, per competenza, alla direzione distrettuale antimafia di Milano. Agli atti c’è un’informativa della Guardia di Finanza che ricostruisce i traffici tra Giuseppe Montella e un fornitore di droga. E il deposito di Gaggiano nell’hinterland milanese dove il carabiniere, secondo l’accusa, andava a ritirare personalmente la droga.
EDIT ORE 17: Nessun legame con la ‘ndrangheta da parte dei carabinieri e i pusher arrestati nell’inchiesta della Procura di Piacenza che la scorsa settimana ha portato al sequestro della caserma Levante e all’arresto di sei militari. Dai primi accertamenti della Dda di Milano, alla quale sono stati trasmessi per competenza gli atti che riguardano il capitolo sui rifornimenti di hashish e marijuana nel milanese, non risulta ci sia alcun contatto con le ‘ndrine della Locride. Anche il deposito di Gaggiano, centro alle porte del capoluogo lombardo, dove avvenivano gli approvvigionamenti delle droghe leggere, dagli accertamenti svolti non risulta gestito dalla criminalità organizzata calabrese. L’indagine della Dda milanese è stata affidata al pm Stefano Ammendola dopo che qualche settimana fa il procuratore di Piacenza Grazia Pradella, in base ad alcune intercettazioni e a una informativa della Gdf, aveva trasmesso gli atti. (ANSA)
I carabinieri della caserma Levante di Piacenza e la pista dei legami con la ’ndrangheta
Il quotidiano spiega che secondo gli investigatori proprio quel deposito sarebbe gestito da persone molto vicine alle ’ndrine della Locride, in particolare a un calabrese di Platì:
Il 23 febbraio scorso — si legge nelle carte dell’inchista — Montella è in auto con Daniele Giardino. I due hanno comprato 35 mila euro di droga dai calabresi e non hanno pagato il saldo. E non possono nemmeno farlo, perché non hanno il denaro. Giardino è preoccupato e Montella prova a tranquillizzarlo. «Abbiamo preso roba e non l’abbiamo mica pagata… ai calabresi, coi pezzi grossi…», insiste però l’amico che conosceva i soggetti meglio dell’appuntato.
Quando scoprono la microspia nella macchina di Giardino, i due capiscono due cose: la prima che c’è un’indagine, circostanza della quale Montella non si preoccupa troppo. La seconda che Giardino è bruciato, non può più andare dai calabresi. «Bisogna trovare un altro sistema — diceva — con il Covid non ti puoi muovere… la pagheremo di più. Serve un altro che viene da Milano e ce la porta fino a qua, capito?», lo si sente dire al telefono. «Montella — scrivono i pm — aveva proposto a Giardino di ingaggiare un corriere di sua conoscenza per inviarlo a ritirare la droga dai calabresi». Ipotesi sfumata perché con “i calabresi” era ammesso soltanto Giardino.
In attesa degli esiti del nuovo filone di inchiesta, la procuratrice Grazia Pradella e i suoi sostituti stanno analizzando i documenti sequestrati nella caserma. E verificando le dichiarazioni degli indagati. Intanto, spiega il Corriere della Sera, l’indagine ha puntato su chi sapeva ma ha taciuto:
Nella caserma Levante, ma anche nella compagnia, negli anni sono transitati parecchi carabinieri, graduati e ufficiali. È a chi è stato zitto che puntano gli sviluppi dell’inchiesta della Procura diretta da Grazia Pradella. Alcuni indagati, infatti, lavorano a Piacenza da una decina di anni, come Montella e Marco Orlando, che ha comandato la Levate prima di finire ai domiciliari. Da prima, cioè, dei reati del capo di imputazione che partano solo dal 2017. Ieri è stato anche il giorno dell’insediamento a Piacenza della nuova linea di comando nei carabinieri. «Il mio obiettivo personale, è di guadagnare la fiducia giorno per giorno», dice il colonnello Paolo Abrate, il nuovo comandante provinciale. Il quale subito mete in chiaro: «Non sono uno che guarda alla statistica»
La trans e i rapporti non protetti
E mentre l’ex fidanzata di Giuseppe Montella ha parlato di una denuncia per stalking e della strana comparsa dei commilitoni di Peppe nella storia, La Stampa racconta oggi altri dettagli sugli arresti e sulla escort trans
Un esempio del “metodo Montella ” per far salire la statistica dei fermi è raccontato da Gianmario Disingrini, 37 anni e un osservatorio speciale: abita a 100 metri dalla Caserma di via Caccialupo. Nove anni fa l’appuntato l’ha fermato per due volte e per due volte è stato preso a botte. «In città ci conosciamo tutti e Montella in quel periodo mi prese di mira: nel 2011 mi ferma per un alcool test, mi porta in caserma e mi sottopone al palloncino prendendomi a sberle e minacciandomi. Per fortuna il tasso alcolemico è appena superiore a 0,5 grammi per litro e me la cavo con la faccia gonfia e la patente sospesa per 2 mesi». Disingrini non è un pusher, non ha precedenti per droga e non frequenta cattive compagnie. All’epoca aveva 28 anni, un lavoro da autista e pochi grilli per la testa. Una domenica mattina rientra ubriaco dopo la discoteca e rincontra il suo aguzzino.
«Erano le 5 e mentre guidavo ho preso un senso vietato a pochi metri da casa ma sotto gli occhi dei carabinieri che vista la scena mi bloccano, mi mettono le manette e portano nella caserma Levante. Dentro Montella e un suo collega si accaniscono su di me: schiaffi, pugni e calci fino a farmi cadere per terra. Si fermano solo quando arriva mia madre attirata dalle urla selvagge che si sentivano fino al nostro appartamento. E’ stata lei a salvarmi da quel pestaggio: ha trovato la porta aperta, mi ha visto e si è buttata su di me per proteggermi da quei colpi». Nuove rivelazioni anche dalla trans che partecipava ai festini in caserma: «Volevano fare sesso non protetto e aggressivo, ma io sono sieropositiva e ho sempre usato il profilattico».