La bufala dei carabinieri che non possono sparare

di Mario Neri

Pubblicato il 2019-08-01

Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano di oggi si dedica meritoriamente a smentire una bufala che circola da giorni sulla vicenda dell’omicidio di Mario Rega Cerciello, ovvero quella dei carabinieri a cui è vietato sparare.  I due militari in via Pietro Cossa non hanno sparato perché la legge non consente di farlo, è la tesi, anche se …

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Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano di oggi si dedica meritoriamente a smentire una bufala che circola da giorni sulla vicenda dell’omicidio di Mario Rega Cerciello, ovvero quella dei carabinieri a cui è vietato sparare.  I due militari in via Pietro Cossa non hanno sparato perché la legge non consente di farlo, è la tesi, anche se il vicebrigadiere, si è appreso in seguito, era disarmato. Ma Varriale, se avesse compreso cosa stava accadendo, avrebbe potuto sparare?

Certamente sì. Lo dice l’articolo 53 del codice penale che disciplina l’uso legittimo delle armi e consente ai pubblici ufficiali di impiegarle per “respingere una violenza”, “vincere una resistenza all’Autorità ”o “impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio, sommersione, disastro aviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”.

E basterebbe l’articolo 52 sulla legittima difesa quando si tratta di “difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta e sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Naturalmente non era facile sparare senza rischiare di colpire il collega. Forse poteva bastare un colpo in aria, o anche solo estrarre la pistola, ma Varriale non ne ha avuto il tempo se non quando i due erano scappati (in quel caso sparare è reato) e la priorità era soccorrere il collega.

carabinieri non possono sparare

In realtà, spiega benissimo Mantovani, dietro questa bufala c’è il tentativo di dare battaglia dal punto di vista politica:

Ma il principio che non piace a Libero è che l’uso delle armi debba essere la scelta estrema. Ed è invece ribadito nei regolamenti delle forze dell’ordine e anche in recenti circolari. La decisione finale spetta sempre al giudice ed questo non piace a settori delle destre e delle forze dell’ordine: in altri Paesi le regole consentono, per esempio, di sparare alle gambe. Da noi poliziotti e carabinieri sanno che se sparano possono essere indagati (e poi magari archiviati, ma chissà quando).

Ma proprio su questo punto andrebbe ricordato un principio che viene spesso citato tra gli esponenti delle forze dell’ordine, di cui però un fatto non parla: “Meglio un brutto processo che un bel funerale”.

La morte può giungere all’improvviso. Lo sanno bene i familiari di Davide Turazza, l’agente delle Volanti ucciso a Verona nel 2005 assieme al suo collega Giuseppe Cimarrusti. La famiglia aveva già perso Massimiliano, fratello di Davide, anche lui poliziotto, ucciso da un rapinatore. E’ per storie come questa che tra il personale delle forze dell’ordine (e non solo) è diffuso il detto secondo cui “è meglio un brutto processo che un bel funerale”. Che non significa solo sparare per primi, ma anche prepararsi al peggio, con l’arma impugnata e il colpo in canna, situazione che aumenta notevolmente il rischio di un errore o di tragico incidente.

Leggi anche: Maghrebini? Il testimone smentisce i carabinieri su Mario Cerciello Rega

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