Basta poveri! Cosa c’è dietro la proposta dei Conservatori per il futuro post-UE

di Davide P.

Pubblicato il 2019-08-16

È la vera tragedia di Brexit: non si capisce mai se chi la gestisce siano geni del male o incompetenti miracolati

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La nuova ministra dell’Interno Priti Patel, insediata da poche settimane, non ha perso tempo per spiegare come il Regno Unito gestirà l’immigrazione dopo Brexit: chiunque voglia trasferirsi in Gran Bretagna dovrà avere garantito un salario di almeno 36.700 sterline(circa 39 mila euro). Il limite, maggiore del 20% di quello proposto dal governo May (già reputato troppo alto), secondo Patel metterà un freno all’immigrazione incontrollata di personale poco qualificato, che tenderebbe ad avere un effetto negativo sui salari medi.  A questo punto è necessario ricordare che oltre ad intascare lo stipendio da parlamentare, Priti Patel arrotonda lavorando per Viasat, una compagnia californiana che fornisce servizi e prodotti al Ministero della Difesa di Sua Maestà. Di cui Patel fa parte. Il compenso per il suo ruolo di consulente strategica è di 1000 sterline l’ora. Chapeau.

 

priti patel
foto da instagram

Basta “poveri”! Cosa c’è dietro l’ennesima proposta dei Conservatori per il futuro post-UE

È dunque interamente possibile che, per la ministra, 36 mila sterline l’anno siano poca roba – ma chissà se lo sarebbero stati anche per i suoi genitori, immigrati dall’India negli anni 70 (i nonni invece erano immigrati dall’Uganda)? Non c’è voluto molto, infatti, per far notare che il limite creerebbe grossi problemi a infermieri, tecnici e ricercatori del campo medico: tutto personale di cui il sistema sanitario nazionale britannico (NHS) ha disperato bisogno. Corsa ai ripari, la ministra ha precisato con un “facciamo che vale per tutti tranne per chi vuole lavorare nell’NHS”. La sensazione ora è che la lista di eccezioni si allungherà non appena qualcuno che opera in uno degli altri settori colpiti avrà qualcosa da ridire, magari un proprietario di bar, pub, ristoranti e alberghi, o un imprenditore edile o agrario.

salari nhs regno unito

 

L’impressione è sempre la stessa: le idee per il dopo-Brexit vanno e vengono a seconda di come gira il vento. Non ci sarebbe neanche più da stupirsi per il susseguirsi di posizioni sempre diverse, se non fosse che in ballo c’è la stabilità socio-economica della settima economia mondiale. Nel nostro piccolo, anche noi immigrati italiani abbiamo da tempo smesso di sperare in una certa coerenza. Si era partiti dal netto rifiuto di Theresa May di garantire i diritti dei cittadini UE già presenti in UK: una mossa non solo odiosa e cinica, ma anche piuttosto patetica nella sua trasparente impraticabilità. Doveva essere una pedina importante nella trattativa con l’UE, salvo essere ritirata quando qualcuno puntualizzò che in quel caso l’UE non avrebbe tutelato i diritti dei britannici in Europa. Un inutile bluff durato giusto il tempo di regalare la tachicardia a centinaia di migliaia di persone.

La posizione del Regno Unito si è snaturata e ammorbidita fino ad arrivare al compromesso del Settlement Status in vigore al momento. Prima a pagamento, poi gratis con rimborso – con un’app che funziona solo sui telefoni Android. Dovrebbe teoricamente rimanere in vigore anche in caso di No Deal, ma chissà se il nuovo governo di Boris Johnson cambierà idea. Verrebbe da sperare in una certa discontinuità con l’incredibile caos che aveva reso ridicolo agli occhi del mondo l’esecutivo della May. Un reality check però ci impone di puntualizzare che un attuale ministro del governo Johnson è tale Dominic Raab, già ministro per Brexit della May nel 2017, fino alle sue dimissioni in protesta contro l’accordo che lui stesso aveva ottenuto dopo la trattativa con l’UE. Anche Priti Patel era al governo con la May: è stata ministro per lo Sviluppo Internazionale finché non si è scoperto delle sue visite segrete in Israele con emissari e lobbysti del governo di Netanyahu. Costretta a lasciare lo scorso novembre, ha solo dovuto attendere qualche mese per il ripescaggio.

 

Dare la colpa agli immigrati. E poi?

La farsa regna sovrana, e le sparate continuano specie ora che le elezioni anticipate sembrano inevitabili. Boris Johnson, con la maggioranza ridotta a 1, prepara la campagna elettorale rispolverando i vecchi cavalli di battaglia sull’immigrazione che l’avevano aiutato al referendum nel 2016. Quella volta un terzo dei votanti Leave aveva giustificato la propria scelta dicendosi contrario alle politiche migratorie imposte dall’Unione Europea. Questo nonostante per anni l’immigrazione EU-UK e viceversa fosse pressoché bilanciata, e la maggior parte degli immigrati venisse da paesi esterni all’UE, e quindi fossero completamente regolati dalle leggi britanniche.

migrazione regno unito

Dopo anni passati a far trapelare la solita idea che gli immigrati siano la ragione per cui gli affitti salgono, gli stipendi scendono, e gli ospedali siano sovraffollati, la risposta sarebbe quella di dire alla gente che meno siamo meglio è. Con il piccolo particolare che uno magari vota per diminuire la coda allo sportello della posta, ma poi quando arriva il suo turno non c’è nessuno a servirlo. E la pensione che gli danno sarà la metà, perché non ci sono immigrati a lavorare e pagare le tasse.

Ma alla fine, chi c’è davvero dietro a questa idea per un salario minimo a 36 mila sterline? L’istituto che ha raccomandato la policy è il Centre for Social Justice, un think-tank di destra fondato da Iain Duncan Smith. I sudditi di Sua Maestà se lo ricordano bene come principale artefice della devastazione inflitta al sistema del welfare negli anni peggiori dell’austerità del governo Cameron. Il tutto mentre si consumava la peggior (dopo la Grecia) contrattura degli stipendi nei paesi industrializzati, e un aumento della povertà infantile e dei suicidi. È la vera tragedia di Brexit: non si capisce mai se chi la gestisce siano geni del male o incompetenti miracolati. La possibilità più quotata al momento è che i primi si stiano servendo dei secondi.

 

foto di copertina via instagram

Leggi sull’argomento: Boris Johnson primo Ministro e una Brexit su cui non c’è niente da ridere

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