Le tre bombe di Draghi contro la deflazione e la crisi

di Guido Iodice

Pubblicato il 2014-09-01

Secondo Pisani-Ferry quella del banchiere centrale europeo è una breccia nel muro dell’ortodossia europea

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Draghi ha rotto in un colpo solo tre tabù. Primo, ha basato il suo ragionamento sulla nozione eterodossa di un mix di politica economica che combini misure monetarie e fiscali. Secondo, ha parlato esplicitamente di politica fiscale aggregata europea, laddove finora si era sempre guardato alle politiche fiscali paese per paese. Terzo, il suo riferimento al fatto che impedire alla BCE di agire da prestatore di ultima istanza ha imposto un costo elevato ai governi, rendendoli vulnerabili e riducendo il loro spazio fiscale, contraddice la convinzione che la banca centrale non debba fornire sostegno all’indebitamento degli Stati.

È quanto scrive su Project Syndicate Jean Pisani-Ferry, già direttore del think tank europeo Bruegel e oggi consulente del governo francese per la pianificazione delle politiche economiche, riguardo al discorso tenuto dal presidente della BCE Mario Draghi all’annuale conferenza dei banchieri centrali di Jackson Hole. Secondo Pisani-Ferry, Mario Draghi ha lanciato una bomba equivalente a quella sganciata due anni fa nel famoso discorso in cui annunciò che la BCE era pronta a fare «tutto quanto è necessario per preservare l’euro», avviando la riduzione degli spread. Guido Tabellini, economista alla Bocconi, in un’intervista a Repubblica dice però che Draghi potrebbe non bastare:

«Ogni Paese, Italia in testa, deve metterci del suo in termini di recupero di competitività per favorire il risultato. Ma, ripeto, solo un’operazione coordinata fra governi e Bce può rilanciare la domanda aggregata, aggredire la deflazione e portare alla ripresa. E’ più importante questo tipo di azione che non risolvere gli sbilanci contabili e accanirsi sulle lacune della “periferia”. L’importante è il coordinamento fra politica fiscale e monetaria perché quest’ultima da sola, con i tassi così bassi, può fare poco. Nell’ipotesi di cui parlavo i Paesi, perfinanziare il taglio fiscale, emettono nuovi titolia lungo termine, diciamo trent’anni, chevengono acquistati dalla Bce senza “sterilizzazioni”cosicché sale la base monetaria».
Il piano Juncker da 300 miliardi non avrebbe lo stesso effetto?
«Non è la stessa cosa perché richiede tempo mentre serve un’azione immediata».
Il Nobel Robert Engle avverte che il quantitative easing crea bolle di liquidità e che in America il problema emergerà presto. E’ un allarme da ascoltare?
«In deflazione il “QE” è l’unica risposta.L’optimum è la combinazione con la manovra fiscale, ma se non è possibile la Bce vada avanti lo stesso. Meglio che niente: proseguire senza azione è incosciente e incompatibile con il mandato di tenere l’inflazione poco sotto il 2%».

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