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Beppino Englaro, padre di Eluana: “Un Parlamento che non decide sul fine vita è disumano”

neXtQuotidiano 15/12/2021

In un’intervista a La Stampa, il padre di Eluana Englaro, Beppino, commenta i lavori alla Camera sulla legge che dovrebbe normare il suicidio assistito: “Non affrontano fino in fondo il problema perché hanno paura di perdere voti”

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La legge sul fine vita approda in Aula alla Camera dopo essere stato approvato dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali. Ha fatto discutere la scarsa presenza di deputati nel primo giorno di discussione, che ha visto – tra gli altri – l’intervento di Anna Francesca Ruggiero del Movimento 5 Stelle, che ha dedicato le sue parole, commosse, al padre. La fotografia impietosa dell’Aula di Montecitorio deserta “non rappresenta il Parlamento”, ha detto il presidente della Camera Roberto Fico. Il lunedì è consuetudine che gli scranni siano semivuoti, ma Fico ammette i ritardi dell’organo legislativo: “La legge sul fine vita è andata in discussione generale, il Parlamento è in colpevole ritardo e spero che si possa arrivare all’approvazione il prima possibile. Non si può più aspettare perché è una legge di civiltà che va a normare casi di sofferenza. Il Parlamento deve fare una legge”.

Beppino Englaro sui ritardi del Parlamento sul fine vita

Lo ha sancito anche una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, e lo pensa anche il padre di Eluana Englaro, Beppino, che in un’intervista a La Stampa oggi commenta i passi fatti dal caso drammatico che coinvolse sua figlia, entrata in coma irreversibile a seguito di un incidente il 18 gennaio 1992 e morta il 9 febbraio del 2009 tre giorni dopo che i medici le avevano sospeso i trattamenti vitali. “Non affrontano fino in fondo il problema – dice Mario Englaro – perché hanno paura di perdere voti, di perdere il loro potere. Ma un Parlamento che non decide è disumano al massimo. Più disumano di così, non potrebbe essere”. A Beppino sembra di essere ancora nello stesso pantano burocratico e legislativo in cui si trovarono lui e sua moglie Saturnia ormai trenta anni fa: “Io dico sempre che ci sono voluti 15 anni e 9 mesi, 5750 giorni perché mi fosse riconosciuto un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione . Ho contato le ore a partire dall’incidente, dal 18 gennaio 1992. Chiedevamo, io e Saturnia, solo quel che Eluana avrebbe voluto: che le permettessero di andar via. Ma dal primo colloquio fummo sorpresi: non ne avevamo il diritto, mia figlia non aveva il diritto di scegliere”. “La non morte a qualsiasi condizione – conclude Englaro – è qualcosa di spaventoso. Lo stato vegetativo permanente è uno stato che per lei era peggiore della morte”.

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