Autostrade: come la revoca delle concessioni può costarci 23 miliardi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-12-23

La risoluzione della concessione potrebbe costare allo Stato 23-25 miliardi di indennizzo. Il CdA della società dei Benetton si prepara alla guerra. Ma l’indagine della Corte dei Conti che spiega come in questi anni i gestori delle società autostradali hanno aumentato gli utili netti e i ricavi da pedaggi e, insieme, hanno diminuito gli investimenti

article-post

Per le Autostrade i Benetton sono determinati a vendere cara la pelle. Ieri, per valutare i nuovi scenari, si è tenuto un lungo consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia. Al termine è arrivato un comunicato con il quale il gruppo si riserva di «mettere in atto ogni azione a tutela della società e di tutti gli stakeholders» se la norma dovesse essere confermata. E annuncia di aver inviato al governo «una comunicazione» nella quale evidenzia che l’eventuale adozione di tale norma sarebbe causa di risoluzione della convenzione unica.

Autostrade: come la revoca delle concessioni può costarci 23 miliardi

Nel mirino del CdA c’è l’articolo del decreto Milleproroghe che regola la revoca delle concessioni autostradali. Non è più il numero 33 ma il 38, perché il decreto è stato approvato “Salvo Intese” e nel frattempo è stato piuttosto difficile trovarle: i pedaggi vengono congelati in attesa che siano pronti i nuovi algoritmi che calcolano investimenti, manutenzione e infine aumenti secondo le indicazioni dell’Autorità per i trasporti. Il possibile subentro di Anas serve soprattutto a sbloccare due cantieri importanti e lentissimi: la Ragusa-Catania e la autostrada Tirrenica. Adesso i concessionari delle due tratte possono trasferire le loro competenze o darsi una mossa. Sostiene oggi Alessandro La Barbera sulla Stampa che secondo la società la faccenda è grave eccome.

Vediamo perché: la norma, negando l’applicazione del contratto di concessione nella parte in cui prevede il risarcimento – stimato da Mediobanca in 23 miliardi di euro – di fatto azzererebbe il valore della concessione stessa. E poiché Aspi – come qualunque grande azienda – si finanzia sul mercato obbligazionario, teme un tracollo sui mercati sin da stamattina. Non è ancora chiaro se dopo la dura presa di posizione dell’azienda – spalleggiata da tutti i concorrenti – la maggioranza e il governo faranno marcia indietro. Ieri nei Palazzi è circolata una bozza ritoccata della norma, ma ininfluente nella sostanza: in caso di revoca al concessionario spetterebbe «il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori al netto degli ammortamenti».

quanto guadagnano le autostrade
Quanto guadagnano le Autostrade (La Stampa, 23 dicembre 2019)

D’altro canto agli atti c’è anche l’indagine della Corte dei Conti che spiega come in questi anni i gestori delle società autostradali hanno aumentato gli utili netti e i ricavi da pedaggi e, insieme, hanno diminuito gli investimenti. E questo al netto del caso del Ponte Morandi. Per questo al ministero dei Trasporti le carte per valutare tutte le ipotesi sono quasi pronte. Vi sono contenuti i rischi, le possibilità, le obiezioni giuridiche a cominciare da quei due commi che danno ad Aspi un potere fuori da qualsiasi ordinamento: anche in caso di revoca possono rimanere i gestori e il diritto al riconoscimento del 100 per cento del valore della convenzione in caso di rottura. Per qualsiasi motivo.

La risoluzione della concessione potrebbe costare allo Stato 23-25 miliardi di indennizzo

Questo c’è scritto nel contratto. Secondo gli esperti sono codicilli inapplicabili, però restano un ostacolo. E quindi la risoluzione della concessione, spiega oggi Luca Pagni su Repubblica, potrebbe costare allo Stato tra i 23 e i 25 miliardi complessivi di indennizzo. Per questo Atlantia è pronta a dare battaglia:

Se il governo dovesse procedere nella direzione indicata sabato, Autostrade per l’Italia chiederà a sua volta «la risoluzione di diritto» del contratto di concessione nel «rispetto del principio di affidamento e a tutela del patrimonio della società». Andando oltre il linguaggio legale, questo significa che la società dei Benetton potrebbe agire per chiedere al governo l’indennizzo per gli anni rimanente della concessione autostradale (scade nel 2038): secondo le ultime stime 23-25 miliardi di euro.

È la risposta arrivata nella tarda serata di ieri al termine di un cda di Autostrade per l’Italia convocato d’urgenza dopo la diffusione del milleproroghe. In pratica, il cda fa riferimento a un articolo della convenzione che regola l’affidamento della concessione in cui è previsto che possa chiederne la risoluzione a fronte di un «sostanziale cambio normativo». Il riferimento è, ovviamente, all’articolo che individua nell’Anas il gestore provvisorio in caso di revoca, considerato contrario alle norme Ue oltre che passibile di illegittimità incostituzionale.

chi gestisce le autostrade
Chi gestisce le autostrade (La Stampa, 23 dicembre 2019)

Non è tutto.  Ci sono una serie di conseguenze pratiche da gestire.

La prima: una revoca, con successivo affidamento all’Anas, porterebbe anche alla sospensione dei lavori di manutenzione programmati (il piano attuale di Aspi prevede interventi per 10,5 miliardi). Inoltre, che fine farebbero i 7 mila dipendenti di Autostrade durante il periodo necessario per indire una nuova gara e un nuovo concessionario? Ecco perché, il gruppo di lavoro “interistituzionale”, creato dal ministero dei Trasporti nei mesi scorsi per suggerire al Governo come poteva comportarsi nei confronti di Aspi suggeriva di avviare «una diversa soluzione come la rinegoziazione della convenzione».

Ma la battaglia ormai è cominciata. E per una volta c’è da dirlo: è giusta, al di là del risultato finale.

Leggi anche: Quanto guadagna chi gestisce le Autostrade

Potrebbe interessarti anche