Attenti al cane

di Erennio Ponzio

Pubblicato il 2018-09-02

Secondo i numeri ufficiali della banca dati dell’Anagrafe Animali d’Affezione gestita dal ministero della Salute e alimentata dalla singole regioni, nel nostro Paese vivono poco meno di undici milioni di cani regolarmente registrati. Una “rumorosa” presenza in costante e rapida crescita, nonostante la crisi: nel 2015 erano appena sei milioni e negli ultimi vent’anni il …

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Secondo i numeri ufficiali della banca dati dell’Anagrafe Animali d’Affezione gestita dal ministero della Salute e alimentata dalla singole regioni, nel nostro Paese vivono poco meno di undici milioni di cani regolarmente registrati. Una “rumorosa” presenza in costante e rapida crescita, nonostante la crisi: nel 2015 erano appena sei milioni e negli ultimi vent’anni il numero è addirittura quadruplicato. L’annuale rapporto “Animali in città” di Legambiente, giunto alla sesta edizione, stima numeri addirittura più alti, anche tripli, a causa dei randagi e degli animali non registrati.

Perché sempre più italiani – con numeri ben diversi da quelli dei lettori di un libro – ricorrano alla compagnia di un cane è materia, bene che va, da sociologi. Perché l’alternativa sono gli psichiatri.
Probabilmente, rimanendo nelle ipotesi da Mulino Bianco, alle pressanti richieste esistenziali di un figlio preadolescenziale – lo smartphone e un cane, più o meno sullo stesso piano – è sempre più difficile opporre un rifiuto. Dal cagnolino di peluche a quello in carne e ossa il passaggio è ormai d’obbligo. Che poi le spese per quell’animale siano più o meno equivalenti a quelle per il condominio è un altro paio di maniche: vuoi rinunciare al trasportino più trendy, al giubottino invernale o allo stick contro le occhiaie? E in fondo la grana che la bestiola richieda continue attenzioni (dalle uscite per espletare i bisogni alle visite veterinarie) e ponga costanti problemi (compatibilità con le ferie estive) è controbilanciata dai risvolti positivi: c’è un’apertura di scenari inediti al parco, principalmente la possibilità di interloquire con qualche altro essere umano ma rigorosamente titolare di animali. Una volta tanto, meno discussioni da allenatori di calcio e più da trainer di animali, con dettagliate informazioni sulle deiezioni della belva.

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Però non ci sono soltanto mansueti bassotti, carlini, spitz nani o shih tzu per combattere la solitudine degli infanti e il troppo tempo libero serale dei genitori. La bestia ha risvolti anche estetici e sociali, rafforza il trudicismo galoppante, lo status symbol da protagonista cattivissimo di fiction con camorristi e spacciatori. Ed ecco l’aumento esponenziale di pitbull e rottweiler, mastini napoletani e bulldog americani, ma anche strane creature provenienti dagli ameni monti dell’Anatolia o del Caucaso, frutto chissà di quali influenze darwiniane. Ma attenzione a non scivolare sul razzismo. Sulla buccia di banana dell’intolleranza ci cascò addirittura una ministra progressista nel 2007, la povera Livia Turco, quando osò allegare ad una propria ordinanza finita in Gazzetta ufficiale (13 gennaio 2007) una lista delle razze pericolose con lo scopo non proprio idiota di tutelare l’incolumità pubblica dall’aggressione di cani: le associazioni animaliste, in particolare quelle cinofile, scesero subito sul piede di guerra denunciando “l’inconsistenza scientifica di una lista di tipologie canine a rischio di aggressività”. Ma che vuoi che facciano un bull terrier, salvo che azzannare bambini in un parco come accaduto giorni fa nel padovano, o un boxer e un pastore tedesco, protagonisti di aggressioni nei giorni scorsi in Campania?

Fatto sta che a rimettere le cose a posto ci pensò l’allora sottosegretario alla Salute, la leghista Francesca Martini, che – oltre a disciplinare il trasporto dei cani sui treni insieme alla paladina faunistica Michela Brambilla, a firmare il progetto educativo “Io amo i cavalli” e a lanciare una crociata contro la cucina molecolare – nel 2009 firmò l’ordinanza del dopo-Turco senza “manifesti della razza”, sottolineando proprio la differenza con quella precedente in quanto “non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane sulla base dell’appartenenza a una razza o ai suoi incroci”. Fatto sta che il numero delle aggressioni da parte di cani soprattutto verso i bambini non solo non è diminuito, ma è in costante aumento. C’è di più: non esistendo una legge nazionale che regolamenti in modo unitario la convivenza tra uomini e animali, le competenze in materia sono demandate agli scalcinati enti locali, Regioni e Comuni. E ciò determina disparità gravi tra aree geografiche, con problemi accentuati anziché risolti. Anche a causa – appunto – dell’aumento smisurato degli animali. Insomma, se la questione demografica di noi esseri umani rappresenta una delle tante emergenze di questo Paese, con una popolazione destinata inesorabilmente a scendere di numero e ad accentuare la presenza di nonnetti, quella degli amici più fidati dell’uomo viaggia fortemente controcorrente. Con trend superiore persino agli sbarchi di stranieri a Pozzallo. Mondo cane.

Leggi sull’argomento: San Giuseppe dei Falegnami, cosa rappresentava quel tetto…

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