L’Argentina a picco

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-08-13

La legge argentina prevede che la vittoria al primo turno sia configurabile con l’ottenimento, da parte del primo partito, del 45% dei voti, oppure con il 40% e 10 punti percentuali di distacco sull’avversario

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Si chiamano Paso («primarie aperte, simultanee e obbligatorie»), dovevano essere una prova generale delle presidenziali argentine di ottobre, e hanno certificato la sconfitta più cocente per Mauricio Macrì, battuto da Alberto Fernández e soprattutto dalla sua ingombrante vice, Cristina Fernández Kirchner. Il loro «Frente de Todos» ha sfiorato il 47%, contro il 33% del «Juntos por el cambio», dell’attuale presidente della repubblica.

L’Argentina a picco

La vittoria è stata così netta che rischia di rendere quasi una formalità le presidenziali, quelle vere, fissate per il 27 ottobre, con il secondo turno un mese dopo (nel caso in cui nessuno superi il 45%).  La legge argentina prevede che la vittoria al primo turno sia configurabile con l’ottenimento, da parte del primo partito, del 45% dei voti, oppure con il 40% e 10 punti percentuali di distacco sull’avversario. Spiega oggi Il Sole 24 Ore che  i mercati hanno accolto l’ennesima resurrezione del peronismo mostrando evidenti segnali di preoccupazione: il peso, la moneta argentina, è scesa fino a un minimo di 65 pesos contro dollaro, un record, con una flessione drastica rispetto a quota 40 delle scorse settimane, per poi stabilizzarsi intorno a quota 55.

Le azioni argentine quotate a Wall Street hanno perso, in media, più del 20% e il rischio Paese, pur di poco, è aumentato, toccando i 900 punti base. La Borsa ha perso il 28% e gli analisti concordano nel prevedere uno shock finanziario per le prossime 48 ore. L’Argentina ha una lunga storia di “corridas cambiarias” e ciò contiene gli allarmi, tuttavia la maggior parte degli analisti ritiene che vi siano mosse urgenti da attuare: la prima è quella di assunzione di responsabilità tra peronisti e liberisti.

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Il peso a picco dopo la sconfitta di Macrì in Argentina (Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2019)

Nonostante tutto, il debito pubblico, attorno all’80% del Pil, non è a livelli allarmanti e i titoli di debito in valuta straniera prevedono scadenze lontane, nel 2033 e 2038. Non vi sono perciò timori per un default analogo a quello del 2001. Ma il ritorno del peronismo potrebbe cambiare gli equilibri della regione, tanto che il presidente brasiliano Jair Bolsonaro fiuta il pericolo per la destra latino americana: «La gente di Cristina Kichner è la stessa di Dilma Rousseff, di Maduro, di Chavez e di Castro».

Il crollo del peso argentino sul dollaro

Nell’ottobre scorso, il Fondo monetario internazionale ha concesso un prestito al governo argentino nel tentativo di fermare l’inflazione e la fuga di capitali all’estero che aveva portato i tassi di interesse fino al 73 per cento. In cambio ha ottenuto ulteriori impegni da parte del governo del liberale Mauricio Macri nel processo di riforme economiche in senso liberale e tagli alla spesa. La Banca Centrale,  nel tentativo di fermare la fuga di capitali, ha alzato ulteriormente il tasso di riferimento, portandolo alla cifra record del 74 per cento. Un punto in più del primato precedente del 2018, prima che intervenisse in soccorso del governo argentino Christine Lagarde, e ben oltre il 63% del tasso di riferimento di venerdì scorso.

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L’Argentina e il crollo del peso (Il Messaggero, 13 agosto 2019)

“In tanti porteranno via i loro soldi dal Paese – ha spiegato Macrì, insieme al proprio collega di ticket Miguel Angel Pichetto – e questo lo vado dicendo da tre anni. Non possiamo tornare al passato perché il mondo vi vede la fine dell’argentina. Il kirchnerismo ha già governato, e sappiamo cosa ha fatto”. Il presidente uscente ha però escluso il rimpasto di governo, assicurando che la sua “equipe economica studierà le misure necessarie per le preoccupazioni degli argentini”. A mente fredda si deve comunque ammettere che, pur con la giustificazione di uno scenario economico internazionale sfavorevole, Macri non poteva ottenere molto di più di quanto raccolto, sollecitando il voto degli elettori con un livello di povertà al 35%, una inflazione che viaggia oltre il 50% e tassi di interesse superiori al 60% che hanno inaridito l’occupazione e la produzione industriale. L’applicazione di ricette neoliberali e il sostegno del Fondo monetario internazionale (Fmi) e degli Stati Uniti, non hanno avuto in questi anni gli effetti sperati e la sua richiesta agli argentini di “avere pazienza” perché “siamo sulla strada giusta da cui non si deve tornare indietro” non è stata ascoltata. Il “non tornare indietro” riguardava in particolare la critica ai 12 anni di governo di Néstor e Cristina Kirchner, considerati un esempio di “populismo deteriore che aveva isolato l’Argentina dal mondo libero e democratico”.

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