L'ANAC indaga sul triplo incarico (e stipendio?) ATAC

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-08-26

Cantone si occuperà del caso Simioni, mentre nessuno dall’azienda risponde ai giornali

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L’Anac ha avviato un «atto di vigilanza» sul triplice incarico di Paolo Simioni, presidente e amministratore delegato nonché direttore generale di ATAC. E anche sul suo supposti triplice stipendio, sul quale ATAC ha ritenuto di non dover rispondere alle domande dei giornalisti. Il Corriere della Sera, che aveva sollevato il problema qualche giorno fa, racconta:

Lunedì, al rientro dalle ferie, il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone esaminerà gli articoli di stampa e gli eventuali esposti arrivati all’Anac sul caso in questione. Dopodiché, condotta l’«attività di vigilanza d’ufficio», potrebbe essere aperto un fascicolo d’indagine.
Simioni era stato nominato da Raggi presidente e ad di Atac lo scorso 31 luglio, tre giorni dopo l’addio dell’ex dg Bruno Rota. Contestualmente aveva lasciato il tavolo per il coordinamento delle Partecipate del Campidoglio (240mila euro di stipendio, erogato in porzioni uguali, 80 mila euro, da Acea, Ama e Atac). Il 10 agosto ha assunto anche le deleghe operative da direttore generale rinunciando agli emolumenti (79 mila euro) dei ruoli amministrativi.
Ma la legge, il decreto 39 approvato l’8 aprile 2012, all’articolo 12, proibisce il cumulo di altre poltrone da parte di un presidente e ad di una società di proprietà di un comune.

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Le cifre del dissesto in ATAC e nel bilancio del Comune (Il Messaggero, 25 agosto 2017)

In più, sul sito di Atac non è stato pubblicato l’attuale compenso di Simioni, anche quello è adesso oggetto di indagine da parte dell’Anac.

Ieri Simioni ha incontrato per la prima volta il nuovo assessore al Bilancio del Campidoglio, Gianni Lemmetti. È stato di fatto il primo summit sul concordato Atac, strada scelta dai vertici M5S(non dalla base che continua a sollevare dubbi) per evitare il fallimento dell’azienda.
«Il concordato preventivo è una parola complicata per dire: questa azienda è piena di debiti e ha serie difficoltà, mandiamola davanti a un giudice e mettiamoci d’accordo per risanarla», ha spiegato ieri Luigi Di Maio. Scelta fatta.

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