Le 150 crisi industriali che il MISE non ha risolto in 600 giorni

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-02-15

Ci sono ILVA, Whirlpool, ALCOA e Jabil. Ma sono solo la punta dell’iceberg: nell’Italia che vede declinare la produzione industriale sono seicento le vertenze sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico che, nonostante il passaggio di testimone da Luigi Di Maio a Stefano Patuanelli, non ha mai risolto

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Ci sono ILVA, Whirlpool, ALCOA e Jabil. Ma sono solo la punta dell’iceberg: nell’Italia che vede declinare la produzione industriale sono seicento le vertenze sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico che, nonostante il passaggio di testimone da Luigi Di Maio a Stefano Patuanelli, non ha mai risolto. Anche se, come nel caso di Whirlpool, l’intero ufficio Stampa & Propaganda (truffa truffa ambiguità / truffa truffa ambiguità / fal-si-tà) del MoVimento 5 Stelle le aveva date per chiuse su Facebook dimostrando che i milioni di euro che vengono spesi in comunicazione dai grillini sono soldi buttati. Spiega oggi Marco Patucchi su Repubblica:

È il limbo per circa 250 mila lavoratori che vivono ogni giorno il sottile disagio di precipitare nell’inferno della disoccupazione, perché si vanno ormai esaurendo gli ammortizzatori sociali, fin qui ossigeno vitale per le fabbriche, con la sola piccola boccata dei 140 milioni per finanziare la cassa integrazione straordinaria 2020, recuperati nel decreto Milleproroghe da Francesca Puglisi, sottosegretaria al Lavoro in quota Pd. Puglisi, insieme alla collega Alessia Morani al Mise (che, tra l’altro, sta seguendo il caso dell’acciaieria Jindal di Piombino), è una delle “mosche rosse” nei due ministeri decisivi per occupazione e produzione. E la consegna al M5S della politica industriale e del welfare è un vulnus per quello che un tempo si definiva “partito delle fabbriche”.

crisi industriali mise di maio patuanelli 1

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Sullo sfondo, il lavoro del grillino Giorgio Sorial alla guida della task force sulle crisi disponendo però di armi spuntate come, ad esempio, le misure anti-delocalizzazioni varate da Di Maio:

All’Ilva, “madre di tutte le crisi”, che potrebbe sopravvivere grazie ad un asse ArcelorMittal-Stato italiano, a tremare sono 10.700 operai, mentre i lavoratori dell’Alitalia ancora senza futuro sono più di 11 mila, la spada di Damocle della revoca della concessione pende sui 7.300 dipendenti di Autostrade e la multinazionale americana Whirlpool abbandonerà la fabbrica napoletana di lavatrici e i suoi 430 operai.

Ma in realtà, le crisi più difficili restano per lo più nel cono d’ombra, come l’Alcoa, 800 lavoratori a rischio nel Sulcis e un nuovo proprietario che non riesce a riavviare la produzione. Piaggio Aerospace, 500 in cassintegrazione, cioè la metà dei dipendenti dell’azienda in amministrazione straordinaria. Jindal Piombino, 2.000 licenziati in attesa di riassunzione e continui slittamenti del piano industriale del gruppo indiano. Bekaert di Figline Valdarno, 224 in cassa integrazione e un filo di speranza, ma meno forte di quelli di ferro che produce la fabbrica, per il rilancio in mano ad altri proprietari o degli stessi operai che hanno presentato un progetto di workers buyout.

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