Ventotene, il vertice e la flessibilità (a cui la Merkel dice ancora no)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-08-23

Intesa su difesa e migranti, ma sulla crescita e sui conti la Germania è ancora prudente. Perché il suo fronte interno ribolle. Il governo vuole 10-15 miliardi. Ma la partita vera si giocherà a Bruxelles

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Ventotene è tutta nella conferenza stampa: quando un giornalista tedesco rivolge a Angela Merkel e a Matteo Renzi la domanda forse più temuta, ovvero come si comporterà Berlino sulle richieste di Parigi e Roma in termini di flessibilità al bilancio, Renzi in un primo tempo lascia alla Bundeskanzlerin l’onore e l’onere di una replica. E la replica non può essere nel segno della prudenza. “Credo che il patto di stabilità ha molte possibilità di flessibilità ma starà alla Commissione Ue confrontarsi con gli Stati membri”, spiega la cancelliera ribadendo come nessuno, a Berlino e dintorni, voglia che Italia e Francia non crescano.

Ventotene, il vertice e la flessibilità 

Parole non di chiusura, le sue, ma neanche di apertura totale alle richieste dell’Italia di una flessibilità sul rapporto deficit/Pil anche nel 2017. Anche perché, se da un lato Merkel torna a plaudire le riforme renziane, “pietre miliari” per un “futuro sostenibile, dall’altro sa bene della difficoltà, in Germania e nei Paesi del Nord, di far tollerare ulteriori concessioni a Paesi ‘non virtuosi’ dal punto di vista del debito come Francia e Italia. Il motivo è tutto elettorale e lo spiega oggi Tonia Mastrobuoni su Repubblica:

Nella prossima settimana Merkel vedrà i capi di governo di Olanda, Danimarca, Svezia, Estonia, Slovenia, Bulgaria, Austria. E, ciliegina sulla torta, i “quattro di Visegrad”, impegnati non di rado ad affossare ogni fuga in avanti europea: Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria. Nel bagaglio della cancelliera, poi, il macigno degli ultimi sondaggi. Il consenso della destra populista cresce: tra due domeniche l’Afd potrebbe incassare alle elezioni regionali in Meclemburgo uno scioccante 19 per cento. Un altro motivo per mantenere il freno a mano tirato, su conti e spesa pubblica. Ma i motivi della prudenza della cancelliera sono anche più profondi. Dopo il trauma dell’intesa europea del 2015 sulla redistribuzione dei migranti, rivelatasi un semi fallimento proprio per l’insurrezione di molti partner a Est, Merkel non vuole firmare altri accordi europei ambiziosi che restino lettera morta.
Inoltre, comincia a farsi strada una certa stanchezza verso il progetto europeo negli uffici della cancelleria e in quelli del ministero più importante, quello di Wolfgang Schaeuble. La salvezza della Grecia nel 2015 è stata vissuta a Berlino anche come uno strappo che ha dato un fortissimo scossone all’idea tedesca di una maggiore integrazione europea. Ed è dallo scorso autunno, infatti, che è tornata a circolare l’idea di procedere su singoli temi con un formato che consenta anche di lasciare fuori chi non ci sta, quello che Schaeuble ha definito “coalizione dei volenterosi”, sia parlando dei migranti, sia, un mese fa, della Difesa comune. Ed è comunque un’idea che va modulata col bisogno di tenere insieme l’Ue a 27 traumatizzata da Brexit.

La flessibilità è una partita che vale 10 miliardi per i conti pubblici italiani ed è appena iniziata. Il governo italiano punta a giocare la partita sul terreno della commissione europea, pur conoscendo il peso di Berlino in quelle stanze. Rispettando il tetto del 3%. La Merkel non molla facilmente ma poi ci sono le lettere e i patti stretti a Bruxelles. Valgono anche quelli e fra le righe del le nuove regole intende muoversi l‘esecutivo di Roma.

ventotene legge stabilità 2017
Ventotene: il debito pubblico italiano (Il Messaggero, 23 agosto 2016

(…a cui la Merkel dice ancora no)

Sia come sia, per adesso la risposta è un no.  In attesa del vertice bilaterale in programma per il 31 agosto. È in quella sede che Renzi comincerà a scoprire le carte chiedendo, come lo scorso anno, l’appoggio della Germania per convincere le cancellerie ad offrire all’Italia la robusta flessibilità necessaria a comporre i pezzi di una legge di Stabilità che il rallentamento dell’economia promette di complicare. Il governo, al di là dei primi approcci, appare deciso a far sentire la sua voce. Per il governo è indispensabile spuntare, tra l’1,8% di deficit-Pil programmato per il 2017 e il limite del 2,9%, quei 10-15 miliardi preziosi per consentire diversi ritocchi fiscali e per fare un’operazione “espansiva”. A frenare gli entusiasmi ci sono però i continui richiami di Bruxelles sul fatto che l’Italia abbia ancora un debito pubblico eccessivo (in valore assoluto al nuovo record a giugno di 2.248 miliardi), ma che il governo ha promesso scenderà grazie anche alle privatizzazioni (a partire da Enav e una seconda tranche di Poste). Per il debito il governo aveva previsto per il 2016 un calo al 132,4% del Pil, mentre la Ue più prudentemente si attendeva un livello invariato al 132,7% rinviando la discesa al 2017 (131,8%). L’allerta sul rapporto debito-Pil è dunque già alta e la trattativa sulla flessibilità difficile considerando che già per l’anno in corso ha ottenuto un alleggerimento sui percorsi di rientro. Ma Bruxelles, nel concedere il maggior deficit chiesto dall’Italia per il 2016 (14 miliardi totali, 0,5% di deficit/Pil in più per le riforme, 0,25% per investimenti e 0,1% per l’emergenza immigrazione), aveva preteso un “chiaro e credibile impegno” a non sforare significativamente sul 2017, impegno sottoscritto dal ministro Padoan. Il quale, oltre al dossier pensioni, punta a mettere a punto un pacchetto di misure che servono a ridurre peso delle tasse. Confermata la riduzione dell’Ires al 24%, il secondo capitolo certo riguarda la proroga del cosiddetto superammortamento del 140 per cento per chi investe. Il terzo provvedimento è la conferma e il potenziamento di un’altra misura già in vigore quest’anno: la detassazione dei premi di produttività.
In copertina: L’Economist, 2014

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