Yanis Varoufakis spiega il suo Piano B

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2015-08-10

Una lunga intervista a Yanis Varoufakis della radio greca ‘Sto Kokkino’, in studio Maria Louka: l’ex ministro delle Finanze torna a parlare: «Da sei anni, da quando è cominciata la crisi, ci siamo battuti contro accordi che pretendendo di risolverla hanno in realtà aggravato la crisi, l’hanno proiettata nel futuro»

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Signor Varoufakis, cominciamo dal tema che tanto clamore ha generato sui media nazionali e internazionali, vale a dire dal famoso ‘Piano B’. Lei come interpreta questo clamore: crede sia stato suscitato da un’effettiva violazione del suo ruolo, del suo mandato, o risponde a finalità politiche?
Vorrei ricordare che prima che mi riferissi per la prima volta al ‘Piano B’, che avevamo ovviamente messo a punto dopo consultazione con il primo ministro e con la squadra governativa, per qualche settimana mi è stata rivolta esattamente la critica opposta, cioè di non avere un ‘Piano B’. Mi rimproveravano di non aver messo a punto un ‘Piano B’. Se si confrontano da una parte le aspre critiche per l’assenza di un piano di riserva, e le critiche ancora più severe per aver evocato il ‘Piano B’ che avevamo preparato, si capisce che il motivo di questi attacchi non ha nulla a che vedere con il merito della questione. Si è tentato di neutralizzare lo sforzo del governo durante gli ultimi cinque mesi; lo scopo di quello sforzo era il recupero della sovranità nazionale, e la ricostituzione del sentimento di dignità dei cittadini greci dinnanzi all’Europa. E questo, qualcuno (in particolare la ‘Troika dell’interno’) non ce l’ha perdonato: mi pare molto chiaro.
C’è un comunicato del suo ufficio stampa del 29 luglio nel quale si riferisce a quelli “che ancora operano nel settore pubblico come baluardi della troika, come ufficiali della troika”.Vorrei chiarire con lei questo punto: si è trovato di fronte a situazioni di questo tipo durante il suo mandato come ministro? Situazioni che hanno potuto fare ostacolo alla sua azione durante la trattativa?
Quotidianamente. E questo lo sa chiunque abbia un contatto anche minimo con l’amministrazione pubblica greca. Già dai tempi del primo memorandum, nel maggio 2010, si sono avvertiti sintomi della progressiva perdita di sovranità nazionale; in maniera graduale ma con un’opera insistente e determinata, la troika è riuscita a creare i suoi feudi, le sue roccaforti all’interno del settore pubblico greco (sappiamo tutti di cosa parlo, non c’è bisogno di scendere nei dettagli). Ha utilizzato e utilizza ancora questi feudi come terreno avanzato per applicare le politiche catastrofiche degli ultimi cinque anni. Questa situazione ci era perfettamente nota, era un dato indiscutibile col quale fare i conti, tanto nel consiglio ministeriale che nella squadra negoziale. Il nostro scopo era la progressiva ricostruzione della sovranità nazionale, in contrasto con questi responsabili dell’amministrazione statale, sui quali il popolo non aveva, tramite i suoi rappresentanti eletti, il livello di controllo che avrebbe dovuto avere.
Questa intenzione si è realizzata in qualche misura? Siete riusciti a ristabilire questa sovranità? E quali sono gli ostacoli che il governo greco incontra in questa direzione?

In qualche misura siamo riusciti a cambiare la situazione; ma devo dire – e questo credo sia noto a tutti- che i creditori il 12 luglio [giorno del progetto di accordo firmato da Tsipras, n.d.t.] hanno preteso che cedessimo il terreno che avevamo conquistato. Il governo oggi si batte, fa di tutto, dà battaglia – eroicamente, direi – per evitare che venga ceduto il terreno tanto faticosamente strappato nei primi mesi della trattativa.
Come giudica l’attuale trattativa? Quello che ne sappiamo tramite la stampa indica che alcuni provvedimenti legislativi decisi durante il suo incarico -penso al rimborso degli arretrati fiscali in cento rate- saranno in parte revocati, mentre restano aperti alcuni punti spinosi come il fondo delle privatizzazioni o l’alleggerimento dei debiti privati inesigibili. Qual è il suo punto di vista sulla trattativa in corso?

Le cose sono semplici: fin dal primo momento, fin dal 25 gennaio, la troika era decisa e compatta su un punto. Non doveva passare l’idea che Syriza, che il governo democraticamente eletto in questo paese, potesse rimettere in discussione le misure del programma catastrofico al quale è stata sottoposta la Grecia durante gli ultimi cinque anni. E durante i cinque mesi di questa dura trattativa siamo riusciti, in maniera unitaria a livello governativo, a varare provvedimenti che la troika, le istituzioni, consideravano – ricorderete le espressioni usate – “iniziative unilaterali”, “casus belli”, e così via. Da quando, dopo il referendum, il governo e il primo ministro hanno approvato l’accettazione di quell’accordo – molto costrittivo – la troika cerca di riguadagnare quel terreno. E lo fa con tutti i mezzi di cui dispone. Il nostro governo, molto giustamente, cerca di fermarla. Perché questo orientamento possa essere mantenuto c’è bisogno di sostenere il governo nella battaglia che conduce: una battaglia per non permettere alla troika di riguadagnare le posizioni che tanto sangue ci sono costate negli ultimi mesi.
Molti hanno le hanno dato la colpa, a lei personalmente e al governo in generale, di aver perso tempo in una trattativa estenuante; il cui risultato finale è stata il sofferto accordo del 12 luglio all’eurogruppo. C’è stata un’autocritica su questo punto? C’erano i margini per un accordo migliore, se la trattativa si fosse conclusa prima?

In nessun caso. Ripeto: in nessun caso. Certo abbiamo commesso errori; chi dà tutto per la liberazione di un popolo, vessato per tanti anni dalle assurde politiche dei memoranda, commette anche errori. Ma questo non rientra fra quelli che ci possono essere imputati. Mi permetto di rinviarla ai miei interventi durante il primo eurogruppo, alle proposte che abbiamo sottoposto, alle misure che volevamo adottare immediatamente. Non avevamo certo intenzione di aspettare che si concludesse un accordo globale, prima di varare le riforme per colpire l’evasione fiscale, combattere la corruzione, e così via. Era la troika che non voleva adottassimo alcuna misura, alcuna riforma, prima che si concludessero quelle interminabili trattative. E perché erano interminabili? Perché non appena presentavamo una proposta compiuta su un certo punto (per esempio sull’IVA), la troika, invece di concludere sul tema, chiedeva di esaminarne un altro. Come un gatto che si insegue la coda. Continuavamo a trattare con una speranza: di riuscire a far passare il più rapidamente possibile riforme e provvedimenti legislativi, per giungere il più rapidamente possibile ad un accordo. Purtroppo la troika, l’eurogruppo, le istituzioni non volevano nessun accordo prima che si svuotassero le casse pubbliche greche, per poter umiliare il nostro governo, portarci ad un accordo disastroso, pessimo; un accordo che ci è stato imposto come un colpo di stato. Ciò che conta adesso, tuttavia, è che il governo sia sostenuto quanto più possibile da tutti i greci che hanno a cuore il loro paese, dai cittadini, dai membri di Syriza, e da chiunque creda che la Grecia debba uscire da questa impasse.
Per evitare di arrivare al prosciugamento delle finanze pubbliche, non avete valutato la possibilità -ad esempio- di non pagare l’FMI già da giugno? Questo non avrebbe permesso un margine di manovra supplementare?

Non è il momento di giudicare la strategia messa in atto da gennaio a luglio. Verrà il momento di farlo. Ma ora è il momento della battaglia. Questa battaglia ora la combattono Il governo, Alexis Tsipras, Euclide Tsakalotos. Non possiamo giudicare chi combatte mentre combatte. Questa valutazione sarà fatta quando avremo le condizioni di libertà e di agio per farla in maniera equanime.
Ritornando al risultato dell’accordo del 13 luglio, crede che esista al suo interno qualche prospettiva per assicurare la sostenibilità del debito pubblico greco?

Nessuna, assolutamente nessuna. Questo è chiaro al primo ministro e al ministro delle finanze. Quello che il governo greco deve fare è creare prospettive di sostenibilità negoziando dei cambiamenti nel programma, che allo stato attuale è un vicolo cieco. La questione attuale è sapere fino a che punto i creditori abbiano la volontà di creare le condizioni per un programma sostenibile. Sappiamo che Schauble non ha questa volontà. Sappiamo che l’FMI non intende partecipare ad un piano che non preveda una ristrutturazione del debito, punto che la Germania non accetta di discutere. Sappiamo che la Commissione ha buone proposte ma che non ha il potere di tradurle in pratica. Il governo greco è insomma il solo ad esprimere una posizione razionale: sta provando a trasformare un programma che non ha alcuna prospettiva in un piano che può forse indicare una via d’uscita.
Come potrà riuscire in questa operazione? Al suo punto di vista si può obiettare che le divergenze di punto di vista dei creditori -a parte qualche crepa nella comunicazione- non hanno aperto nuovi scenari. Come si può sperare, continuando a trattare con questi stessi interlocutori, di ottenere questo riorientamento sulla sostenibilità del debito?
Il ministro delle finanze Euclide Tsakalotos sa perfettamente cosa è necessario accada perché il programma diventi sostenibile. Lo sa a proposito della ristrutturazione del debito, della creazione di un vero fondo per gli investimenti tramite gli asset pubblici (e non la loro svendita), a proposito del trattamento dei crediti privati inesigibili (da affrontare tramite una ‘Bad Bank’, con pieno coinvolgimento dello Stato, e non della Banca Centrale), a proposito del gettito fiscale. Lo sforzo del governo è quello di trasfondere tutta l’esperienza di questi mesi di trattative nell’accordo con i creditori. Non sarà affatto facile, per i motivi che lei ha evocato. Ma non abbiamo altra scelta. Siamo nell’eurozona, vogliamo rimanere nell’eurozona, rimarremo nell’eurozona: ma il solo modo perché questo avvenga in condizioni sostenibili è introdurre nell’accordo gli elementi che sappiamo indispensabili a questa sostenibilità.
Quando ‘el Paìs’ le ha chiesto in un’intervista se avrebbe attivato il “piano B”, qualora fosse dipeso solo dalla sua volontà, lei ha risposto :”Sì, l’avrei fatto; ma ero in minoranza e rispetto la decisione della maggioranza”. Confermerebbe oggi questa risposta? Il “piano B” potrebbe funzionare ancora?
Mi riferivo a quel preciso momento [subito dopo il referendum, n.d.t.]. In quel momento avrei fatto quella scelta, e non ho cambiato idea: continuo a pensare che avremmo dovuto fare diversamente da quello che abbiamo fatto. Ma questo adesso non ha alcuna importanza. A sinistra è così che funzioniamo: collegialmente. Il mio punto di vista era minoritario, ne è prevalso un altro. Adesso ci troviamo in un ‘altra fase; abbiamo superato quel punto, e volenti o nolenti siamo qui. Ciò che importa per le prossime settimane è che il governo greco si rafforzi per essere in grado di mettere dei limiti ragionevoli all’accordo. E a trovare un metodo che permetta di riaprire condizioni e speranze per un quadro economico sostenibile.
Un’ultima domanda: lo scopo del governo è quello di concludere i termini definitivi di un accordo e sbloccare i finanziamenti – con l’approvazione in parlamento delle misure concordate – prima del venti agosto. Sulla base delle sue linee essenziali, che possono considerarsi acquisite, quale sarà la sua scelta? Voterà per questo accordo?

Da sei anni, da quando è cominciata la crisi, ci siamo battuti contro accordi che pretendendo di risolverla hanno in realtà aggravato la crisi, l’hanno proiettata nel futuro. È escluso che possa sottoscrivere un tale tipo di accordo. Penso che nessuno, dentro Syriza, sostiene questo accordo. Permettetemi di aspettare il testo definitivo. Vedremo se contiene il finanziamento completo per i prossimi tre anni, una ristrutturazione del debito, la gestione dei crediti inesigibili e la creazione di un più sano clima nel sistema di credito… sono i temi sui quali dovremo valutare e decidere. Non posso rispondere prima.
Traduzione di Faber Fabbris

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