«Tsipras? È la Merkel il vero pericolo per l'Europa»

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-12-31

Perché la Grecia può far male all’Europa e quali sono i rischi per la stabilità del Vecchio Continente da una vittoria di Syriza: il dibattito tra Bruxelles, Francoforte, Berlino e Roma. Con il rischio dell’addio agli strumenti di salvataggio preparati dalla BCE. E il timore remoto di un’altra grande crisi dei debiti

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«Non capisco perché le cosiddette cancellerie europee siano così terrorizzate dalla probabile vittoria di Syriza in Grecia. O meglio, lo capisco, però è ora di smontare le loro ipocrisie». Thomas Piketty, docente all’Ecole d’économie parigina, l’economista più autorevole del 2014 come lo ha definito il Financial Times, è sceso in campo con un editoriale pubblicato ieri da Liberation e oggi torna intervistato da Repubblica sul tema. Con una tesi molto chiara, che cozza rispetto agli altri argomenti sul pericolo Grecia e sul rischio di una vittoria di Alexis Tsipras alle elezioni politiche contro Samaras.

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L’infografica del Sole 24 Ore che riepiloga gli ultimi problemi finanziari della Grecia (30 dicembre 2014)

LA MERKEL VERO PERICOLO PER L’EUROPA
Piketty dice che la strategia di rilancio dell’Europa deve partire da una negoziazione dei debiti pubblici dei paesi in difficoltà – esattamente quanto sostiene Syriza nel programma di Salonicco – e ha le idee su chi è il pericolo dell’Europa: «Andiamo con ordine. Il più ipocrita è Jean-Claude Juncker, l’uomo al quale incoscientemente si è data in mano la commissione europea dopo che per vent’anni hacondottoilLussemburgo a una sistematica depredazione dei profitti industriali del resto d’Europa. Ora pretende di fare il duro e di prendere un giro tutti con un piano da 300 miliardi che però è finanziato solo per 21, e all’interno di questi 21 la maggior parte sono fondi europei già in via di erogazione. Parla di “effetto leva” senza neanche rendersi conto di cosa sta parlando. Al secondo posto c’è la Germania, che fa finta di aver dimenticato il maxi-condono dopo la seconda guerra mondiale dei suoi debiti, scesi di colpo dal 200 al 30%del Pil, chele ha permesso di finanziare la ricostruzione e la prepotente crescita degli anni successivi. Dove sarebbe andata se fosse stata obbligata a ridurre faticosamente il debito acolpi dell’uno o due per cento all’anno come sta costringendo a fare il sud Europa? La terza piazza nell’imbarazzante classifica delle ipocrisie spetta alla Francia, che ora si ribella alla rigidità tedesca ma è stata in prima fila nell’affiancare la Germania quando è state impostata la politica dell’austerity, e altrettanto decisa sembrava quando con il Fiscal Compact del 2012 si sono condannate le economie più deboli a ripagare i debiti fino all’ultimo euro malgrado la devastante crisi del 2010-2011. Ecco, se saranno smascherate e isolate queste ipocrisie si potrà ripartire per lo sviluppo europeo nell’anno che sta per iniziare. E Syriza farà meno paura». Una posizione più o meno solitaria oggi che il dibattito è concentrato sulla scelta di Samaras e sulle sue possibilità di rimontare come nel 2012 e vincere le elezioni sventolando il drappello dell’Europa. Due anni fa Samaras vinse evocando lo spettro dell’uscita della Grecia dall’euro in caso di vittoria della sinistra, con conseguenze finanziarie disastrose.Ma le cose sono cambiate dal 2012, come ricorda oggi Ettore Livini su Repubblica:

In due anni e mezzo di austerità lacrime e sangue dettata dalla Troika la disoccupazione sotto il Partenone arrivata fino al 27%. E in fondo, come ricorda spesso Tsipras, Nea Demokratia (assieme ai socialisti del Pasok) «è il partito che ha portato Atene nel baratro nel 2009». Samaras però— forte dell’esperienza di due anni fa — conta sulla memoria corta dei suoi concittadini. Convinto che nel segreto delle urne la rabbia di un Paese in ginocchio si trasformerà — come dice lui — «nel timore di gettare alle ortiche un lustro di sacrifici». Regalandogli così il successo in zona Cesarini. I suoi toni sono dunque diventati quasi apocalittici già in queste prime ore di campagna elettorale. «La scelta è tra l’Europa e il caos»,è stato l’esordio. «Questo è il momento della responsabilità e della democrazia, non delle bugie, del populismo e del terrorismo politico», ha rincarato la dose a stretto giro di posta. Dimenticandosi, almeno fino ad oggi, di mettere sul piatto gli atout che — in teoria — ha nella manica il ritorno alla crescita di Atene nel secondo trimestre del 2014, il 2,9% del Pil previsto il prossimo anno e la possibile uscita a fine febbraio (previa un nuovo piano di tagli allo stato sociale da 2 miliardi) dalla protezione della Troika.

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Gli ultimi sondaggi sul voto in Grecia (La Repubblica 30 dicembre 2014)

«PERCHÉ LA GRECIA ORA PUÒ FAR MALE ALL’EUROPA»
Il Corriere della Sera ospita invece un lungo editoriale di Lorenzo Bini Smaghi in cui si spiega perché la Grecia ora può far male all’Europa, spiegando che non è vero che il rischio di contagio agli altri paesi è contenuto. Perché un taglio del debito greco, l’opzione proposta da Tsipras, si tradurrebbe in un trasferimento di risorse in via definitiva da parte degli altri Stati e in un pari aumento del loro debito netto (per l’Italia fino a 20 miliardi di euro).

Una tale operazione creerebbe una serie di problemi. Il primo sarebbe quello di confermare il timore di molti Paesi creditori, soprattutto del Nord Europa, che i prestiti erogati ai Paesi in difficoltà sono molto più rischiosi di quanto inizialmente stimato, e possono trasformarsi in trasferimenti a favore di altri Stati, contrariamente a quanto previsto dal trattato di Maastricht. Si scatenerebbero nuovi ricorsi, in particolare alla Corte suprema tedesca, sulla costituzionalità del Fondo salva Stati. In ogni caso, i Parlamenti nazionali che saranno chiamati in futuro ad esprimersi su eventuali aiuti a favore di Paesi in difficoltà tenderanno ad essere molto più restrittivi. In sintesi, l’efficacia del Fondo salva Stati verrebbe seriamente ridimensionata. Anche l’azione della Bce verrebbe indebolita da una ristrutturazione del debito greco. Si rafforzerebbe la posizione di chi, nell’ambito del Comitato direttivo della banca centrale, si oppone all’acquisto di titoli di Stato che non hanno il rating più alto, dato che i costi di una eventuale ristrutturazione verrebbero scaricati su tutti i contribuenti europei. Verrebbe rafforzato anche chi sostiene che un’eventuale politica di Quantitative easing potrebbe essere realizzata solo se il rischio dei titoli di Stato acquistati dalla Bce venisse scaricato sulle rispettive banche centrali nazionali, e non sull’intero si-sterna come le normali operazioni di politica monetaria. Ciò ridurrebbe l’efficacia di tale strumento e l’esporrebbe a pregiudizi di costituzionalità.

Il debito della Grecia (Centimetri, infografica)
Il debito della Grecia (Centimetri, infografica)

Secondo Bini Smaghi tutti gli strumenti di salvataggio posti in atto da Bce e Commissione rischierebbero quindi di saltare. Con conseguente disastrose per quel che resta del sistema bancario europeo e degli indici finora sotto controllo.
 

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